Incontro con Agnès Varda per Visages, Villages

La cineasta è in tour in Italia per accompagnare il suo documentario nelle sale, distribuito dalla Cineteca di Bologna. Ecco il resoconto dell’incontro romano al Nuovo Sacher

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La cineasta e fotografa belga Agnès Varda ha presentato al Cinema Nuovo Sacher di Roma Visages, Villages, il documentario che ha diretto insieme a JR, il giovane artista francese, famoso per le sue fotografie monumentali in bianco e nero esposte sui muri di tutto il mondo. Il film è nelle sale italiane dal 15 marzo, distribuito dalla Cineteca di Bologna, dopo aver raccolto molti premi internazionali, tra i quali L’oeil d’or al Festival di Cannes, il Premio del pubblico al Festival di Toronto e la nomination agli Oscar 2018 come miglior documentario. Nomination che accompagna il Premio Oscar alla carriera, ricevuto lo scorso novembre da Agnès Varda, prima regista donna nella storia dell’Academy ad essere insignita di questo riconoscimento.

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Con Visages, Villages Agnès Varda per la prima volta si cimenta alla regia insieme a un altro artista, JR, che ha conosciuto nel 2015 e con cui è nata sin dall’inizio l’idea per un grande progetto: un film girato in Francia, lontano dalla città, in viaggio su un furgone fotografico, che mette insieme la passione per il cinema di Agnès Varda e quella per la fotografia di JR, ma soprattutto la curiosità di entrambi per le immagini e la possibilità di mostrarle, condivirle ed esporle.

“L’obiettivo del nostro lavoro è essere al servizio delle persone riprese. Io filmandole, lui realizzando le fotografie gigantesche che le trasformano in veri e propri eroi” – ha detto Agnès Varda. “JR fa un lavoro politico anche se non parla mai direttamente di politica, perchè pensa che per cambiare quello che non funziona nel mondo, prima di tutto bisogna cambiare sguardo sul mondo. Per esempio ha fotografato israeliani e palestinesi mentre svolgevano lo stesso tipo lavoro e ha affisso le loro foto sui muri, con l’intento di abbattere le barriere e la distanza tra questi due popoli, mostrando loro quanto siano simili. Per lui l’artista ha una grande responsabilità comunicativa. Il suo progetto, Inside Out, è straordinario ed è proprio da qui che è nata l’idea per il film. JR gira il mondo con un camion in cui fa entrare le persone e le fotografa, poi da qui viene fuori una fotografia gigante che decide di affiggere in luoghi particolari o di donare a chi ha collaborato con lui. In questa maniera crea legami artistici e cerca a suo modo di cambiare il mondo attraverso l’arte, cambiando lo sguardo sull’altro. Il nostro lavoro è stato complementare e si è creata grande empatia, sia tra noi che con le persone che abbiamo incontrato, che  hanno capito cosa volevamo fare e si sono fatti coinvolgere nel nostro progetto. Gli operai della fabbrica, i portuali, e tutti coloro che abbiamo incontrato sono stati l’essenza del nostro lavoro”.


“Il rapporto tra cinema e fotografia è la mia vita – ha aggiunto la cinesta belga – sono stata fotografa, cineasta e artista. Questo film è stato scritto a quatro occhi e quattro mani e la fotografia ha avuto un’enorme importanza in quesyo lavoro. JR stesso mi ha fotografaro gli occhi e i piedi, poi li ha incollati su un treno che arriverà in posti in cui io non potrò mai andare. E non è un caso che questo lavoro abbia stimolato riflessioni sulla morte e sul tempo che passa, perchè le opere d’arte di JR sono naturalmente esposte al passare del tempo e alla corrosione degli agenti esterni, e questa dopo tutto è la metafora della vita. Noi Siamo qui per un po’, poi siamo destinati a scomparire, così come le sue gigantesche fotografie, erose dal vento e dalle maree. Ma l’aspetto più divertente di tutto questo è stata la reazione della gente alla vista delle mie fotografie, che ha dato vita a una serie di commenti inaspettati e deliziosi sulle mie dita dei piedi. Quindi è vero che in questo film la fotografia ha incontrato il cinema e viceversa, ma il nostro obiettivo era mettere al centro  le persone e far sì che il pubblico le amasse. Oltretutto anche noi realizzando questo film abbiamo imparato molte cose sulle persone, in particolare sul mondo agricolo, che nel nostro immaginario era una dimensione di convivialità e invece ha mostrato anche la faccia nascosta del lavoro in solitaria con l’ausilio delle macchine”.

Grande assente in questo progetto cinematografico è stato Jean-Luc Godard, amico di vecchia data di Agnès Varda, che è mancato all’appuntameto con i due cineasti, lasciandoli fuori di casa con un messaggio in codice appuntato sul vetro della sua porta. “JR era curioso di conoscerlo e io stessa non mi aspettavo un simile comportamento, visto che eravamo amici anni fa”, ha concluso la Varda. “Però avete visto quello che è successo e il mio dolore nel ricordare i bei momenti passati insieme. JR mi ha vista molto turbata e per questo mi ha portata in riva al lago. A me piace molto ammirare l’acqua che scorre, è qualcosa che mi calma ed è un grande simbolo del tempo che passa. Poi ha deciso di fare qualcosa di speciale per me e si è tolto gli occhiali che sono parte integrante del suo look e del suo personaggio. Io non ho potuto vederlo bene, ma per me è stato un gesto davvero importante. In fondo, come ha detto l’operaio che abbiamo incontrato nella fabbrica, l’arte è fatta per sorprendere e così è stato il nostro finale, soprendente”.

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