Incontro con Franco Piavoli a Registi fuori dagli sche(R)mi

Il cineasta è stato il grande protagonista della giornata dello scorso 13 ottobre a Bari dove si è potutro vedere il suo nuovo lavoro, Festa

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Torna, presso i Cineporti di Puglia, Registi fuori dagli sche(R)mi e torna in grande spolvero.Il direttore artistico Luigi Abiusi, ha annunciato che la rassegna ospiterà il 17 novembre il regista americano Xander Robin, aprendosi però al contempo anche ad una parentesi sul cinema Italiano.

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Tra grandi maestri e giovani talenti, il settimo evento di questa 5° edizione è stato dedicato lo scorso 13 ottobre a Bari ad una eccellenza storica del cinema indipendente e di poesia, Franco Piavoli, mentre sono attesi nei prossimi incontri Irene Dionisio e il duo Massimo D’Anolfi e Martina Parenti.

franco-piavoli-registi-fuori-dagli-schermiIl cineasta è stato omaggiato da una breve selezione filmografica, discussa, assieme al pubblico in sala, dai critici cinematografici Cecilia Ermini e Simone Emiliani: da uno dei suoi primi corti, Domenica sera (1962) all’ultimo Festa (2016) passando per quello che Abiusi stesso ha definito caposaldo del cinema tout court: la sequenza finale di Voci nel tempo (1996).

Accompagnato dai moderatori in un dibattito libero eppure intenso, il regista bresciano ha ripercorso i modelli di ispirazione del suo peculiare filmare il paesaggio risonante,

 “I riferimenti di partenza sono stati La terra di Dovženko, Mouchette e Un condannato a morte è fuggito di Bresson; da quest’ultimo sono stato inflenzato dal particolare uso della voce umana.”  Per giungere, in seguito, a citare l’ammirazione per i primi piani di Pasolini e forse su tutti, il regista cinematografico ante litteram, Giacomo Leopardi, precursore di un montaggio visivo e sonoro, che lo stesso Piavoli ha evidenziato recitando i versi de “L’Infinito”, badando bene agli aggettivi di prossimità e lontananza: eco di una scala dei campi non ancora codificata, ma altresì linguaggio archetipico del poeta cinematografico. Come teorizzò proprio Pasolini.

Nella difficoltà di circoscrivere una figura artistica, quanto mai anomala nel panorama italiano, il regista è stato invitato a confidare cosa lo abbia spinto, oggi a 83 anni, a ri-affrontare un progetto molto personale come “Festa”,

“Il piacere di riprendere tra le mani la videocamera, sempre e solo in piena autonomia dalle costrizioni produttive e dal mercato. Il piacere di gironzolare nei dintorni del paese, soprattutto in occasione delle feste popolari (quelle stesse diffuse in tutta Italia) e farsi rapire dalla curiosa formula “la messa è finita, andate a ballare”, con cui si conclude la messa a cielo aperto della festa di S. Pietro”.

Di questi eventi di paese Piavoli ha circoscritto ed espanso i balli di coppia, giovanili e maturi, filmando quasi ballando egli stesso, seguendo i passi e i volteggi di una comunità ritrovatasi per il piacere d’essere insieme, in un fluire coreografico, che è movimento catartico collettivo, insito nell’istinto primordiale dell’uomo.  “Si balla già nel ventre materno” ha affermato Piavoli “e poi l’istinto diventa un bisogno, che crescendo, ciascuno sviluppa a suo modo. Pertanto, pur nella dimensione della festa, misura ed immersione nella gioia, non si possono eludere i margini delle solitudini.”

franco-piavoli-bariE quindi, la questione del formato. Dal super 8 al digitale, la condizione estetica vincola inesorabilmente la resa e persino la fruizione del testo filmico, anche quando intriso di una medesima radicale poetica.

Ribadendo la libertà economica offerta dal digitale in fase di ripresa e la ricchezza di scelta sottesa al montaggio, Piavoli ha ironizzato sul prodigio della concentrazione di una intera troupe di professionisti nella mano di un solo uomo, che aziona la camera; del resto, come potrebbe essere altrimenti per un autore che ha fatto del lavoro in solitaria e della dilatazione estrema del carpe diem, la sua cifra stilistica!).  Mentre il lavoro di post produzione in Festa, ha proseguito l’autore “si è concentrato sulla ricognizione del ritmo necessario, sempre differente rispetto ad ogni soggetto trattato. Ogni argomento da affrontare ne esige uno proprio e l’adeguamento degli strumenti da adoperare. Esemplarmente, si ritroverà in Festa quanto non è in Il pianeta azzurro, l’opera a cui Andrei Tarkosky avrebbe voluto consegnare nel 1982 il Leone d’oro essendo uno dei giurati.

Festa necessitava che la musica fosse travolgente, dominante, come necessitava che il divertimento e il vortice psichedelico di luci e colori si fondesse nel lavoro stesso di ripresa”, ha concluso il regista.

“È un Piavoli nuovo” suggella Luigi Abiusi “nella ruvidezza della resa digitale e nell’inedito uso strategico della colonna sonora extradiegetica”.

Un cinema sonoro però sempre volto alla costante esplorazione di tracciati linguistici, che valorizzino le sensorialità naturali originarie: il silenzio e il riverbero di luce e vento, il fonema umano e le proiezioni delle sagome, non certo come controparte negativa di parole e corpi, bensì come “messa in vita”, anziché “in scena” di un visibile, impenetrabile all’occhio nudo.

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