Incontro con Kevin Spacey al Museo del Cinema di Torino

L’attore ha ripercorso la carriera, da I soliti sospetti e Seven fino a House of Cards passando per American Beauty e Eastwood, in occasione della consegna del premio Stella della Mole

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Lunedì 16 gennaio Kevin Spacey ha ricevuto il premio Stella della Mole del Museo Nazionale del Cinema a Torino. Un riconoscimento di carattere istituzionale ma anche simbolico per un artista contemporaneo nonostante tutto, in particolare in Italia, popolarissimo. La motivazione è stata letta da Roberto Pedicini, storico doppiatore italiano dell’interprete statunitense. «Qui oggi state celebrando non me ma tutti coloro che hanno reso possibile questa carriera». E continua: «Ringrazio il Museo per avermi regalato una notte difficile da dimenticare e Franco Nero (che lo ha diretto l’anno scorso ne L’uomo che disegnò Dio) per aver creduto in me quando tutti avevano paura».

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Ma è quando il dialogo col direttore Domenico De Gaetano entra nel vivo che l’evento si fa interessante. In particolare, a partire dalla memoria di spettatore in età giovanissima. «I primi ricordi riguardano i grandi divi da Gary Cooper a James Stewart a Katharine Hepburn… Un’epoca irripetibile». Mentre cominciare a fare imitazioni di personaggi famosi, come lo stesso Stewart, «era un modo per far ridere mia madre, lavoratrice instancabile». A proposito de I soliti sospetti: «La notte in cui Bryan Singer mostrò una prima versione del film al cast, nessuno capì chi era Keyser Söze prima della scena finale».

Perché manca il suo nome nei titoli di Seven? «In realtà per quella parte non ero stato preso, ma poi David Fincher mi chiamò per sostituire l’attore precedentemente scelto in tempi rapidissimi». Così, una volta entrato nel progetto, propose di non mettere il proprio nome «per lasciare un alone di mistero intorno al serial killer». Su quale sia l’attore o il regista da cui ha appreso di più non è facile rispondere: «Ho imparato qualcosa da ciascuno di quelli con cui ho lavorato, ma l’esperienza più formativa è stata forse recitare per Clint Eastwood che è sempre molto esigente». Nonostante non sia notissimo, L. A. Confidential è stato importante nel suo percorso: «Quando chiesi al regista quale grande attore del passato avrebbe chiamato per interpretare il detective, non nominò un William Holden ma Dean Martin, e quell’immagine mi aiutò a trovare la chiave del personaggio».

Preparare il complesso protagonista di American Beauty è stato facile con un regista brillante come Sam Mendes. «Vedemmo insieme L’appartamento di Billy Wilder e mi disse che quello era ciò che avremmo dovuto eguagliare in qualità». L’ospite si è poi commosso ricordando il suo amico e mentore Jack Lemmon, il quale nel 2000 lo chiamò dopo la notte degli Oscar lamentandosi di averci messo il doppio del tempo rispetto a Spacey per vincere la seconda statuetta. «Facendo teatro hai maggiore percezione di te perché sei a contatto diretto con il pubblico», mentre l’esperienza seriale con House of Cards «mi ha concesso il tempo di scavare nei più grandi peccati americani»

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