Incontro con Roberto Silvestri, di Chiara De Felice

Il mercato una volta era mosso dai consumatori, i quali decretavano il successo o meno di un prodotto. Oggi che non si tollerano più sconfitte il mercato si impone: grazie alla "promozione" sceglie da sé la sua carta vincente, punta tutto e vince sempre, lasciando K.O. il nostro libero arbitrio.

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I quotidiani italiani si assomigliano sempre di più, le pagine degli spettacoli non hanno personalità, spesso pubblicano la stessa intervista allo stesso regista lo stesso giorno e la critica stenta sopravvivere soffocata dal giornalismo promozionale.


A rischiarare questo panorama desolante interviene l'incontro con Roberto Silvestri giovedì 28 novembre, nell'ambito del corso di critica cinematografica di Sentieri Selvaggi. Ad una critica impoverita Silvestri ricorda il suo compito più prezioso: scoprire nuove cinematografie e nuovi autori che propongano visioni non convenzionali della realtà. Se il giornalista ha un dovere di testimonianza, non si limiterà a parlare dell'ennesimo successo di film annunciato e atteso da mesi ma darà voce a coloro che non ne hanno. Aiutare i film non aiutati dalla distribuzione può essere una vera crociata ideologica, qualcosa per cui valga la pena esercitare l'attività critica. Lo scopo di un mestiere mosso dalla passione ma reso più nobile da un obiettivo.


Enzo Ungari, protagonista dei racconti di Silvestri, trovò per la sua critica una dimensione "pratica": come programmatore del Filmstudio prima, tra gli organizzatori di "Massenzio" poi, consacrò la sua attività al pubblico.


Anche Silvestri nasce come programmatore di un cineclub, un'esperienza che forse gli ha trasmesso il piacere di sondare gli umori del vero pubblico, quello che affolla o diserta le sale, quello a cui Pasolini  e Ferreri vollero arrivare con le Giornate del cinema alternative alla Mostra del Lido popolata solo da critici e supporter di film in concorso. "Il pubblico è molto diverso dal critico, ha un altro sistema sensorio, è imprevedibile.", dice Silvestri che a volte diserta le anteprime per i giornalisti.


Nonostante scriva su di un quotidiano politicamente schierato, racconta di aver trovato sulle sue pagine una zona franca della critica, non soggetta alle "indicazioni" date, magari, a giornalisti di testate con tirature alte che puntano su contenuti medi per la classe media a cui mediamente non interessa il film vincitore del Festival di Cuba ma piuttosto l'ultima battaglia ascolti Morandi-De Filippi. "Il Manifesto vende solo quarantamila copie", ripete spesso Silvestri. Ma non c'è questo evidentemente alla base del rispetto per i lettori.                                             

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