Independence Day – Rigenerazione, di Roland Emmerich

Resurgence è un’operazione nostalgia invece che una riflessione sui vent’anni di cinema che hanno seguito l’apripista Independence Day. La sensibilità di Emmerich è ancora fissata in quel punto

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Il cinema americano sta portando avanti un’implicita ma acuta riflessione sui suoi ultimi venti anni e Independence Day: Resurgence dovrebbe far parte di questo spontaneo moto di approfondimento. Il condizionale è d’obbligo perché come spesso capita con Roland Emmerich non è mai troppo chiaro quanto gli esiti dei suoi film siano volontari o meno. Il ritorno sempre più invasivo degli alieni sul nostro pianeta si affianca al riuscito esperimento di implementazione portato avanti da Jurassic World di Colin Trevorrow. Il nuovo parco dei divertimenti preistorico si divertiva a far divorare uno squalo bianco dalla grandezza digitale di un moasaurus e quello che restava del set di Jurassic Park veniva attraversato dai personaggi come se fosse ugualmente il rudere di un’epoca passata. Il richiamo della trama alle necessità del pubblico ormai abituato ai soliti rettili colossali era un chiaro riferimento all’incessante bisogno del blockbuster di soddisfare l’effetto wow e l’innesto genetico dell’indominus rex era l’incarnazione del bigger is better.
Quindi, la domanda che dovrebbe suscitare Resurgence è abbastanza scontata: l’evoluzione della grafica digitale e l’iperrealismo del green screen hanno superato le memorabili distruzioni di massa di Independence Day del 1996?

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La risposta è negativa anche se lo sforzo di buona volontà va apprezzato soprattutto in virtù dell’ostinazione con cui l’umanità ha ricostruito le città solo per metterle nuovamente a disposizione della furia distruttiva del cinema di Roland Emmerich. Il regista si riserva il diritto di risparmiare la White House ma soltanto perché l’aveva già fatta a pezzi tre volte in precedenza: una venti anni fa, un’altra in 2012 e l’ultima con un film dedicato come White House Down. La gigantesca nave madre degli alieni atterra sulla Terra occupando tutto l’Oceano Atlantico ma sfiora appena la bandiera della residenza presidenziale in una significativa scena di stanchezza. La sua forza di gravità autonoma ha attirato tutta la città di Londra per poi lasciarla ricadere sulle sue stesse macerie e la distruzione è accompagnata da un sarcastico commento di Jeff Goldblum sull’attenzione con cui gli invasori distruggono i simboli. Lo squadrone di piloti capitanato da Liam Hemsworth dirotta uno stormo di caccia alieni e nel notare che i comandi sono rimasti gli stessi di allora si sorprende del fatto che l’interfaccia sia cambiata.

Il problema di Resurgence è quello della gestione della messa in scena a prescindere dallo sviluppo tecnologico ed è inevitabile che questa responsabilità ricada su Roland Emmerich. La sue colpe principali sono quella di non imitare il vecchio Bill Pullman che si mette al servizio delle nuove generazioni e quella di credere di essere ancora attuale in un cinema che in venti anni è cambiato molto di più di quanto non avesse fatto nel primo secolo della sua storia. Steven Spielberg lo aveva capito benissimo e infatti si era ritagliato il ruolo dietro le quinte di produttore nel film di Colin Trevorrow che aveva sancito ulteriormente il suo passaggio del testimone. Roland Emmerich ha pensato che dieci anni di età in meno bastassero a salvare una sensibilità estetica che ormai appartiene ad un modo di fare i film a cui al massimo si riconosce un ruolo di paternità. Independence Day e la sua maestosa devastazione dell’Empire State Building ridicolizzavano in pochi secondi interi decenni di pachidermiche conquiste fatte dai trucchi fotografici e dalla tecnica della stop motion. Resurgence fa pensare a cosa sarebbe stato di quella scena se a dirigerla fosse stato Ray Harryhausen invece che un cineasta di quell’epoca. Roland Emmerich avrebbe dedicato tutta la sua filmografia successiva a schernire con la potenza dei pixel gli sforzi compiuti con i plastici urbani e le action figures di Godzilla. Eppure, non ha mai previsto che queste operazioni non solo sono cicliche ma sono anche molto più rapide rispetto al passato e che prima o poi lo avrebbero investito.

Il conto finale di Resurgence è quello di un film gradevole che resta confinato nel terreno della nostalgia e del sentimento di chi lo ha visto in un tempo in cui c’erano ancora i cinema monosala. E’ un revival che non fa nessun progresso se non quello di lasciare che Roland Emmerich si mandi in pensione da solo nel terreno che gli è più congeniale. L’impegno di aggiornarsi alle recenti novità del filone catastrofico-apocalittico come quello della mancanza di una guida autorevole o quello di proporre qualche perdita affettiva nei personaggi non coincide mai con le necessità eroiche che tolgono lo spazio ad un’elaborazione credibile del lutto. Resurgence resta un film degli anni cinquanta nello spirito e se non altro si apprezza la fermezza con cui il regista resta ancorato alla suggestione infantile di The Earth vs. the Flying Saucers di Fred F. Sears per migliorarla all’infinito.

Titolo originale: Independence Day: Resurgence

Regia: Roland Emmerich

Interpreti: Liam Hemsworth, Jeff Goldblum, Jessie Usher, Bill Pullman, Maika Monroe, Charlotte Gainsbourg, William Fichtner

Distribuzione: 20th Century Fox

Origine: USA, 2016

Durata: 120′

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