Indiana Jones e il quadrante del destino, di James Mangold

Incalzante ed entusiasmante, viaggia nel tempo attraverso la saga, il cinema e i generi, dal film d’avventura alla spy–story. Grandi scene d’inseguimenti ed Harrison Ford è in forma smagliante.

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Viaggia nel tempo Indiana Jones. Trasportato dal quadrante come un nuovo ‘back to the future’, ma anche attraverso un cinema d’avventura che ritorna grandiosamente al passato e che non ha un attimo di cedimento. Dopo i primi quattro capitoli non c’è più Steven Spielberg alla regia – qui è produttore esecutivo assieme a George Lucas – ma si sente sempre la sua ombra e non è solo per il celebre motivo di John Williams ma proprio per una visione spettacolare-cinefila di una saga che proprio per questo non è mai invecchiata. C’è già all’inizio l’ipnosi del tempo che non passa. Non riprende frammenti ma Indiana Jones e il quadrante del destino riparte proprio da I predatori dell’arca perduta con un ambientazione simile durante il nazismo e il ritorno ‘struggente’ di Karen Allen nei panni di Marion nel finale. Sembra di essere nello stesso film. Oppure il capostipite della saga del 1981 può già essere un altro film. E la fuga di Indy travestito da nazista riporta anche alle tante, infinite, ispirazioni più che modelli, di Spielberg tra Sturges di La grande fuga e Aldrich di Quella sporca dozzina.

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Dopo il prologo ambientato nel 1944 in un castello nazista, l’azione si sposta al 1969 nei giorni dello sbarco sulla luna. Il professor Henry Jones si sta separando dalla moglie, insegna al college ma sta per andare in pensione. Improvvisamente nell’aula dove sta parlando di Siracusa (che diventerà set italiano determinante nella storia) viene trascinato dalla figlioccia Helena in una nuova avventura dove deve fronteggiare ancora una sua vecchia conoscenza, lo scienziato ex-nazista Voller che collabora con la NASA e si vuole impossessare di un oggetto, il quadrante appunto, che può cambiare i destini del mondo.

I caratteri sono quelli creati da Lawrence Kasdan e Philip Kaufman e la sceneggiatura di Jez e John-Henry Butterworth, David Koepp e James Mangold li rivitalizza. Ed è proprio il regista che ha davanti gli occhi la saga di Spielberg ma gli regala tutte le variazioni classiche del suo cinema. Ha nei confronti di Indiana Jones la stessa riverenza che ha avuto nei confronti di Johnny Cash in Quando l’amore brucia l’anima. Walk the Line, rende dinamiche le scene d’azione sul modello di Innocenti bugie ma incrocia la fisicità di Friedkin nell’inseguimento in Marocco e trova abbaglianti ipnosi hitchcockiane già dalle scene dello scontro sopra la carrozza del treno e del motoscafo. In più recupera traiettorie e nostalgie Marvel da David Bowie in sottofondo con Space Oddity alla scena sui tetti con il salto da un palazzo all’altro di Helena. In più c’è un cattivo davvero cattivo come Mads Mikkelsen, di quelli che fanno di tutto pur di far fuori il protagonista, a rischio di autodistruggersi. Sì Indiana Jones potrebbe essere oggi un cinecomic. Oppure uno di quei post-noir con un detective stanco richiamato per svolgere un ultimo compito e poi si trova con i guai fino al collo.

A quasi 81 anni Harrison Ford riesce a resistere nel tempo come pochissimi altri. Oltre a Indiana Jones lo aveva già fatto recentemente anche con Rick Deckard in Blade Runner 2049. Assieme a Sylvester Stallone (le saghe di Rambo e Rocky) e Tom Cruise (Top Gun: Maverick) invecchia con loro e non se ne separa più. Oppure può tornare giovane, reincarnarsi, rivivere vite precedenti come nel momento in cui l’azione piomba durante l’assedio di Siracusa nel 214 a.c. o attraversa la parata pacifista alla fine degli anni Sessanta a cavallo. Ci sono tante vite possibili come tanti cinema possibili in Indiana Jones e il quadrante del destino. James Mangold è il nuovo Michael Curtiz. Prende soggetti di altri e gli regala ancora l’eterna giovinezza. L’aveva già fatto con Hugh Jackman in Wolverine. L’immortale e lo straordinario Logan. Per Mangold il cinema è immortale. In Indiana Jones e il quadrante del destino lo dimostra anche per come filma Phoebe Waller-Bridge nel ruolo di Helena. Si anche la pluripremiata attrice, sceneggiatrice e regista della serie Fleabag sembra arrivare dagli anni ’80 e si può credere di vederla in I predatori dell’arca perduta. È un’altra ipnosi di un film, un cinema, già senza tempo.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4.5
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Il voto dei lettori
4.14 (7 voti)
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