Infinity Festival 2004 – Tracce sull'abisso: adolescenti nel cinema di Teresa Villaverde

Il nucleo di partenza dei film della Villaverde è un corpus triangolare in potenziale equilibrioe lo svolgersi delle vicende è un processo di rottura e disintegrazione di questa struttura geometrica, con il venir meno di uno o più elementi che lascia i rimanenti ridotti a segni ancora più isolati e in disequilibrio su un infinito acromatico.

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Il cinema di Teresa Villaverde vive costantemente sull'abisso. Quantomeno fino ad Agua e sal, che rimane legato ad una poetica riconoscibile e personale ma è già altro, probabilmente perché è già altro il suo punto d'origine, l'animo della sua giovane autrice, le immagini della portoghese sembrano legarsi alla poetica di Pedro Cabrata Reis, artista portoghese protagonista del suo ultimo documentario A Favor da Claridade, che vede l'arte come un confronto con la caduta/cacciata dal paradiso dell'angelo ribelle che ogni volta (ri)ac/cade.

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Le giovani figure "angeliche" che attraversano i primi tre lungometraggi della Villaverde sono colte sempre nella loro parabola decadente, tra limiti/sbarre che ne impediscono la "salvezza" e rendono vano il loro continuo cozzare contro ostacoli che anche quando si pongono come appigli finiscono per accelerare la corsa verso la fine. "Bambini da sempre sulla strada sbarrata", parafrasando un titolo di Stefano Francia a due notti di Fuori Orario in cui era presente anche un film della portoghese; mutanti per cui il mondo (questo sconosciuto) diventa un abisso in cui annegare.


A Idade Maior, Tres Irmaos e Os Mutantes compongono quasi un percorso unico le cui tappe sono ritmate da un progressivo disfacimento e abbandono da parte del (falso) paradiso d'origine che è la famiglia. Se Alex ripercorre con la memoria il passaggio forzato alla "idade maior" segnata prima dalla disgregazione dell'oasi familiare poi dalla morte di entrambi i genitori, per i "tre fratelli" il padre ceco e violento e la madre depressa si pongono sin dall'inizio come ostacolo alla crescita/conoscenza del mondo (già avvolto nel buio) mentre i "mutanti" sono stati già abbandonati dalla "società d'origine" e i genitori sono appunto assenze che si manifestano proprio come acceleratori del processo di caduta. Nonostante A Idade Maior si differenzi dagli altri due film per l'ambientazione "campestre", fuori dalla Lisbona buia e sporca che è l'abisso che inghiotte Maria, Andreia e gli altri, caratterizzato da una fotografia più armonica e contemplativa che nei due "urbani" sarà sostituita da inquadrature sghembe, le tre opere costituiscono un corpus facilmente riconoscibile nel panorama europeo contemporaneo. La realtà vista attraverso gli occhi dei giovani protagonisti chiude, come nota Massimo Causo, queste storie nel "cerchio magico dell'infanzia" amplificando emozioni forti e personaggi impossibilitati a mutare e affrontare l'ignoto rappresentato dal mondo degli adulti, ma allo stesso tempo vede naufragare la "magia di un certo idealismo. Una certa perfezione impossibile. Una certa calma." come fa notare la stessa regista al curatore di questo omaggio albese.

Il nucleo di partenza dei film della Villaverde è un corpus triangolare in potenziale equilibrio, che ricorda l'iconologia cristiana (in questo caso il paradiso perduto per sempre), e lo svolgersi delle vicende è un processo di rottura e disintegrazione di questa struttura geometrica, con il venir meno di uno o più elementi che lascia i rimanenti ridotti a segni ancora più isolati e in disequilibrio su un infinito acromatico.


Se Tres Irmaos rovescia alcuni punti del precedente  A Idade Maior con la morte di Maria (l'animo più innocente dei tre fratelli), mentre era il piccolo Alex il "superstite" dell'altro triangolo familiare, in Os Mutantes questa situazione trina è estremizzata nella "equilateralità" dei tre protagonisti, che formano un "gruppo" e si intersecano soltanto perché contrapposti ad un mondo compatto e impenetrabile composto da istituzioni, famiglie, Lisbona. Nel terzo lungometraggio il cinema "adolescenziale" della Villaverde (che nasce, a detta della stessa, "dalla ricerca dell'osservazione distaccata") si sublima nell'immagine dei due ragazzi portati su un set dove vengono impiegati per colorare un muro di nero cupo e pastoso che non evidenzia i loro corpi ma li rende flebili tracce luminose subito inghiottite. L'abisso vuoto e nero è l'unico grembo che accetta queste creature sempre in bilico, aggrappate alla vita ma pronte all'abbandono, come quando si lasciano pendere dall'ultima carrozza di un treno in corsa..


Per l'impatto violento con le istituzioni (a cui non è concesso mai uno sguardo che non ne amplifichi la loro natura endemicamente paracarceraria), per l'ambientazione metropolitana fatiscente, per i ritratti di genitori presenti/assenti ma comunque di un "altro mondo", potremmo parlare di cinema punk. Ma la ribellione non è "pensata", nè trova forme d'espressione che non siano la fuga e la scomparsa e allo stesso tempo il "No Future" è una forzatura e non una scelta. E' vero che Maria perde la verginità squallidamente tra i rifiuti di un vicolo, ma un attimo prima, quando Maria assaggia con sorsi da pettirosso un boccale di birra in cui sembra che il suo viso ci possa annegare, alla domanda "ti piace la birra" risponde "si mi piace, ma devo ancora abituarmi al sapore", evidenziando la stessa volontà di Pedro, di Andreia e gli altri di voler mutare, voler diventare "grandi". E' quando sono ormai stanchi del loro movimento (falso) ondivago, quando il limite su cui sono spinti non schiude più nessun orizzonte che questi ragazzi decidono di sparire, di abbandonarci al "nostro" mondo, di farsi pure tracce. Poichè sia ad Andreia che prova a "cancellare" il sangue perduto durante un parto clandestino e di andare a morire lontano e in solitudine come un cane, sia a Maria, che al contrario si lascia cadere sotto gli occhi di tutti in un gesto ultimo e estremo di affermare la propria presenza, non è concesso di essere qualcosa di più di un'immagine. Potenziale "realizzazione" costretta a rimanere bagliori su quel nulla che è il "nostro" mondo, con noi incapaci quanto i nostri occhi a trattenere un attimo/frame in più queste brevi meteore che la mdp della Villaverde coglie con amore. E che in noi, l'abisso in cui precipitano, si cicatrizzano.


 

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