Ingeborg Bachmann. Journey into the Desert, di Margarethe von Trotta

Un biopic canonico, senza slanci e (quasi) senza sorprese che scorre anche dignitosamente. ma è decisamente superato. Solo Vicky Krieps riesce a ravvivarlo senza però infuocarlo. Concorso.

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Il deserto e Roma come fuga di libertà. Dal chiuso di un corridoio con un telefono che squilla nella notte e si sente solo un’inquietante risata, alle sconfinate distese dove c’è una nuova rinascita da parte della protagonista. Il viaggio non è come quelli di Herzog. Ma rappresenta comunque una zona inesplorata nel suo cinema che poteva avere ancora uno spazio maggiore all’interno del film. E rappresenta la componente più visionaria, meno evidente di un biopic canonico, senza slanci e sorprese, sorretto soprattutto dal mestiere della cineasta tedesca e dalla prova di Vicky Krieps che, dopo Il corsetto dell’imperatrice, entra ancora efficacemente nei panni di un personaggio del passato.

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Ingeborg Bachmann è una celebre poetessa austriaca. Nel 1958 incontra il drammaturgo svizzero Max Frisch e vive con lui un’appassionata quanto tormentata storia d’amore. Sembrano due spiriti liberi. Lei però si sente prigioniera nella loro abitazione di Zurigo e ogni volta che ne ha l’occasione scappa a Roma, la città che ama di più. Lui invece a volte è invidioso della sua fama e riesce a trattenere faticosamente la sua gelosia. Dopo la fine della loro storia, continua ad essere inquieta. Un viaggio nel deserto con Adolf Opel potrebbe ridare di nuovo un senso alla sua vita.

Ingeborg Bachmann. Journey into the Desert è un’altra esplorazione di una figura femminile contraddittoria, sofferente e forte nel suo cinema dopo quelli, per esempio, di Katharina Blum,  Rosa Luxemburg, Hannah Arendt. Le donne sono state poi quasi sempre al centro dei suoi film anche in alcuni dei suoi titoli più famosi come Sorelle. l’equilibrio della felicità e Anni di piombo. In qualche modo anche Ingeborg Bachmann condivide con loro questo rapporto tormentato con lo spazio del proprio tempo, che rappresenta una specie di prigionia. C’è una scena dove la poetessa, durante una lettura davanti al pubblico, appare spenta, con la testa che è da un’altra parte. In altri momenti invece non controlla il proprio entusiasmo, come nel dialogo con Giuseppe Ungaretti (interpretato da Renato Carpentieri) di cui ha tradotto la poesie in tedesco.

C’è un indubbio lavoro di ricerca da parte di Margarethe von Trotta su Ingeborg Bachmann, morta a Roma nel 1973 a 47 anni. Ma è così concentrata su di lei che sfoca tutto quello che ha attorno, con personaggi che sfiorano la caricatura come Max Frisch, ambientazioni quasi da cartolina come l’immagine delle strade di Roma e reazioni come passione e gelosie evidenziate anche soltanto dal dettaglio dei fiori, due bicchieri di vino rosso o affascinanti uomini conosciuti nel deserto. Von Trotta non ha la spinta, anche folle, di Malle (Il danno) o la sensibilità poetico/erotica di Bertolucci (Il té nel deserto) per surriscaldare un film che si accende e si spegne a comando. Trova spesso lo stesso metodo per mostrare i contrasti: il rumore fastidioso della macchina da scrivere, un telefono che ripete continuamente (“Roma non risponde”). Oggi Ingeborg Bachmann. Journey into the Desert è quello che il cinema di Margarethe von Trotta può fare. La spinta, anche politica, resta invece solo a livello concettuale. Un film vecchio stile. che scorre anche dignitosamente. ma decisamente superato che, quando non si perde nel deserto, resta fortemente limitato.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2.5
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Il voto dei lettori
4 (1 voto)
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