InizioPartita – Deathloop (PC/PS5/XBox) – La recensione

Un’avventura surreale che nasce dalla maturazione e dalla fusione delle poetiche di Arkane Studios, fondate sulla reversibilità degli ambienti di gioco e sulla libertà d’azione. Su Xbox da oggi

--------------------------------------------------------------
CORSO COMUNICAZIONE DIGITALE PER IL CINEMA DALL'11 APRILE

--------------------------------------------------------------

In occasione dell’annuncio dal Tokyo Games Show 2022 sul lancio di Deathloop (già disponibile su Pc e Playstation 5) su Xbox Series X/S e XBox Game Pass – che avverrà da oggi 20 settembre, insieme all’arrivo del Goldenloop Update, ossia un aggiornamento che garantirà il cross-play tra le varie piattaforme e dispositivi, oltre all’inserimento di nuove abilità da usare in game – ecco la nostra recensione.

--------------------------------------------------------------
#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

--------------------------------------------------------------

Nell’ultima creazione di Arkane Studios, bisogna muoversi tra le vie di una cittadina distopica circondata dai ghiacciai, in una dimensione dove spazio e tempo non funzionano secondo le leggi naturali.
Qui si apre un’avventura dai toni pulp, durante cui le stesse leggi videoludiche sono alterate, ma scoprire il loro funzionamento è parte dell’esperienza e per farlo non resta altro che giocare.
Tutto inizia con il risveglio in soggettiva di Colt, il protagonista, che dopo una sbronza colossale si ritrova sdraiato sulla spiaggia di un’isola glaciale senza ricordare nulla.
Il primo istinto è quello di cercare qualche informazione utile in giro ripromettendosi di non bere più in quel modo. Ma prima di capirci qualcosa, dalla bocchetta di uno strano dispositivo di comunicazione esce una voce femminile che inizia a raccontare di come la cittadina di Blackreef e i suoi abitanti, allo scoccare della mezzanotte di ogni giorno, rimangano intenzionalmente coinvolti in un loop temporale.
Data la confusione mentale di Colt, potrebbe trattarsi di un’allucinazione, ma a giudicare dagli strani macchinari retrofuturistici che stanno sparsi per l’ambiente di gioco e dall’atteggiamento inquietante delle persone che popolano Blackreef, è anche probabile  che le parole di quella donna siano vere.
Ad ogni modo, chi sta all’altro capo del dispositivo (che d’ora in poi terremo sempre in mano) apre l’unica pista possibile da seguire, ricordando a Colt, con tono istigatorio, che il suo obiettivo è sempre stato quello di interrompere il ciclo temporale e che l’unico modo per farlo, è riuscire ad eliminare le otto persone che tengono il comando dell’isola, tutte nell’arco di un unico loop.
Mentre Colt, di nuovo in preda alla confusione, cerca di ricordare qualcosa, i suoi pensieri cominciano ad apparire e scomparire in modo frenetico sotto forma di frasi scritte e ben integrate con l’ambiente di gioco, anche se, nella maggior parte delle volte, pare che queste non abbiano alcun senso o che cerchino di depistare il giocatore conducendolo in un vortice schizoide d’incertezza e confusione.
È come se la mente di Colt prendesse parola e diventasse una sorta di guida al gioco, che poi continuerà a comunicare con il giocatore per tutta la durata dell’esperienza.
Pensieri, ricordi, reminiscenze dal passato, all’improvviso riemergono dal subconscio per raggiungere la coscienza del protagonista e materializzarsi sotto forma di testi.
È così che in Deathloop prende forma l’elemento metanarrativo: attraverso una sorta di simulazione del riflesso della mente di Colt, che in questo modo viene subito “collegata” a quella di chi lo muove in prima persona.
Bastano pochi minuti di gioco per empatizzare con lui e con la sua personalità, il cui tratto distintivo è questa capacità di saper sfruttare l’umorismo e il sarcasmo allo stesso modo di un’arma.

Il personaggio di Colt incarna lo spirito del leader, i tratti dell’archetipo dell’eroe classico e quelli dell’antieroe insieme, suscita simpatia, fiducia e affidabilità – allo stesso tempo però, c’è un lato nascosto che potrebbe nascondersi dietro al suo passato, qualcosa di cui lui stesso ne ha perso le tracce.
Ritrovare se stesso è il vero obiettivo di Colt e del giocatore/investigatore che deve calarsi nei suoi panni per riassemblare tutti gli indizi sparsi in giro per la baia di Blackreef.
Qui, le leggi naturali, etiche e morali, sono ribaltate e ristabilite dall’organizzazione di una setta edonistica guidata dai cosiddetti Visionari, il cui obiettivo è quello di protrarre per l’eternità una giornata in cui, sotto trip lisergico, vengono messe in atto politiche corrotte ed esperimenti scientifici.
Il punto è che a Blackreef la morte non è altro che una semplice transizione dal loop precedente al prossimo e questo rappresenta il problema più grande, ma anche il motivo per cui morte e rinascita trovano una giustificazione plausibile a livello ludico.
Ogni volta che il loop riparte, Colt si risveglia sulla stessa spiaggia, con gli stessi vestiti e con la stessa bottiglia in mano – mentre la sua mente cancella, sovrascrive, manipola e diventa quindi inaffidabile.
Le uniche cose che restano intatte sono gli indizi scoperti durante la sessione precedente e il dispositivo di comunicazione che è anche uno strumento indispensabile per l’hacking.
A chi dare retta? Alla voce, alle scritte, agli indizi o all’istinto?
Questo senso di confusione che assale il giocatore tanto quanto Colt, funziona in primis grazie alla frammentazione della trama, tagliata e rinchiusa dentro a nastri da ascoltare e a documenti da leggere sparsi in giro per la mappa di gioco.
In secundis grazie all’immersività dell’ambientazione: Blackreef è un luogo ostile e criptico, dall’atmosfera grigia e nebbiosa, situato ai piedi di un enorme anello elettromagnetico che distorce le menti e il colore del cielo.
Scovare gli indizi poco a poco, per vederli lentamente prendere forma in un disegno che diventa sempre più grande, è la spinta che muove tutto il gioco.
Un’esperienza che si ripete, eppure, grazie all’intelligente composizione del level design, non risulta mai uguale.
Da una parte c’è lo spazio: la mappa di gioco è divisa in 4 aree esplorabili, Carls bay, Updaam, The Coplex e Fristad Rock.
Dall’altra parte c’è il tempo, sempre diviso in quattro fasi della giornata.
Ogni volta che la lancetta si sposta dal mattino, al mezzogiorno, al pomeriggio, alla sera gli scenari, sebbene restino gli stessi, cambiano e svelano nuovi passaggi segreti, disposizioni delle truppe e strutture accessibili o non, obbligando quindi il giocatore a cercare sempre nuovi modi per muoversi e perseguire gli obiettivi.
Solo una cosa resta certa: conoscenza e investigazione sono le uniche armi in grado di sconfiggere l’utopia della setta e di conseguenza anche il loop.
Per farlo ci sono tanti modi. Si può giocare in modalità sparatutto, anche se spesso la scarsità di munizioni suggerisce di proseguire in stealth: muoversi senza farsi notare è di sicuro il metodo più adatto nelle situazioni in cui ci sono intere zone presidiate dagli adepti della setta.

Inoltre ci sono diversi “poteri” da sfruttare: l’invisibilità, il controllo a distanza dei dispositivi, il teletrasporto, la telecinesi, sono tutte abilità intercambiabili che consentono di scegliere le modalità con cui si preferisce giocare.

Tutti questi elementi – oltre alla possibilità di giocare calandosi nei panni di Colt o (grazie all’online) in quelli di Julianna, ossia il nemico che durante le sessioni di gioco è sempre “in giro” con l’obiettivo di eliminarlo – rendono Deathloop figlio della maturazione e della fusione delle poetiche di Arkane Studios, fondate sulla reversibilità degli ambienti di gioco e sulla libertà d’azione. Filosofie le cui radici risalgono ai “Dungeon crawler” (come i Dark Souls) e agli “Immersive sim” (Deus Ex): un genere nato a cavallo tra gli ultimi anni ’90 e i primi anni 2000 e tornato in voga dopo un decennio anche grazie ad altri titoli Arkane Dishonored e Prey.

Come in tutti i videogiochi Arkane, anche qui l’ambientazione fa da protagonista e diventa parte di un nuovo immaginario.
Le strutture architettoniche presidiate dai Visionari ricordano le costruzioni colossali del periodo fascista, ma in una versione glam e colorata, caratterizzata da un design simile a quello degli anni ’60. In Deathloop l’ambiente non è altro che lo specchio dell’organizzazione etica e sociale della setta che popola Blackreef. Che ne sarà di Colt?

--------------------------------------------------------------
CORSO ONLINE SCRIVERE E PRESENTARE UN DOCUMENTARIO, DAL 22 APRILE

--------------------------------------------------------------

    ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SENTIERI SELVAGGI

    Le news, le recensioni, i corsi di cinema, la riviste, i libri, gli eventi e tutte le nostre iniziative