InizioPartita. Gamification: il primo caso pratico con basso budget

Per mettere in piedi un progetto di gamification non è necessario un budget elevato: non c’è un limite a ciò che si può fare nell’ambito dell’IT, dove gli stessi principi risultano più adattabili

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Tornando al discorso che abbiamo iniziato un po’ di tempo fa, quando si parla di gamification il pensiero corre inevitabilmente a grandi investitori che spendono somme enormi per dotarsi delle opportune piattaforme tecnologiche che consentano loro di “rastrellare” il maggior numero di utenti possibili, in internet, ma anche nella “real life” di tutti i giorni, ed in effetti è proprio così; esistono tuttavia, contemporaneamente, soluzioni semplici ed economiche che premiano l’inventiva, e quindi l’idea di fondo, più che il budget a disposizione.
Vi porto un esempio concreto e personale, verificatosi qualche mese orsono.

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Un contatto mi presenta un possibile cliente che vuole procedere ad applicare la gamification alla propria attività, o meglio, vuol far divertire i propri clienti e sfruttare questo divertimento per promuovere il proprio business. Nonostante l’ambito dell’Internet Technology si presti comodamente, per sua stessa natura, ad un’abbondante infusione dei principi base della gamification, questi ultimi possono essere applicati a quasi tutti i settori produttivi. Perciò, una delle domande che ho posto all’individuo in questione è stata, naturalmente, in quale settore egli operi: ci siamo arrivati dopo circa venti minuti dall’inizio del colloquio preliminare e la risposta mi ha lasciato piuttosto perplesso, mettendo in discussione molte delle mie certezze sulla gamification.
Costui, infatti, si è rivelato essere il proprietario di una pizzeria al taglio in una zona centrale di Roma, ed era fortemente interessato a incorporare la gamification nella propria attività.
Il che mi ha fatto capire una volta di più (…se ancora ce ne fosse stato il bisogno) che il concetto di gamification è ormai arrivato un po’ ovunque, se anche il “pizzettaro” di quartiere ne ha sentito parlare e si è convinto a volerla utilizzare.

Ad ogni modo, per poter progettare in maniera corretta la gamification di un servizio o di una attività servono alcune informazioni basilari:
– quale sia il prodotto/servizio/attività da promuovere;
– quale sia il target a cui si intende proporlo;
– quale sia il budget a disposizione;
– quale sia l’obiettivo che si vuole raggiungere (percezione del prodotto, ampliamento della quota di mercato, lancio di un’attività innovativa, ecc…)

Il cliente, a fronte dell’intervista per avviare il progetto, ha presentato un ottimo lavoro di analisi: il prodotto che voleva promuovere era ovviamente la sua pizza al taglio, mentre il target (altro elemento molto importante dell’equazione gamification) era duplice. Essendo la pizzeria ubicata davanti ad una fermata dell’autobus, essa fruisce di una buona circolazione di clienti estemporanei; inoltre, sono molti gli impiegati degli uffici vicini che, a pranzo, ordinano il classico pezzo di pizza come pasto veloce. Il target era quindi costituito da clienti già fidelizzati e clienti di passaggio. Il budget, ed è stata un’altra sorpresa, si è rivelato superiore alle mie aspettative, e quindi si è potuto sviluppare un progetto articolato e ben strutturato, con il quale cercare di centrare l’obiettivo del cliente, ovvero quello di incrementare le vendite (…non gli interessava molto altro: la percezione del prodotto era già buona e non vi erano altre necessità particolari su questo fronte).

Date tutte queste informazioni, il vero lavoro è consistito nell’ideare e progettare un’azione di gamification che centrasse le aspettative del cliente e che magari non facesse un uso eccessivo del suo tempo (…i ritmi in una pizzeria sono rapidi: ci si è quindi vincolati a far si che l’impegno da spendere nelle attività previste dal progetto da parte del proprietario della pizzeria e del suo eventuale personale fosse limitato).

La prima cosa da fare era quella di capire come le persone avrebbero partecipato all’azione di gamification e, soprattutto, perché avrebbero voluto parteciparvi. In genere, si lavora su una comunità attiva e ben disposta a dare un poco del proprio tempo per divertirsi (…o guadagnare punti, badge, trofei, ecc…). Ma qui le premesse erano diverse: si doveva trovare una “scusa” o uno “stimolo” per invogliare i clienti a diventare i veri attori del progetto.

Dopo qualche giorno di “pensiero creativo”, ho chiesto al cliente se era disposto a regalare ogni tanto un pezzo di pizza, ottenendo in risposta un ovvio sorriso. Il primo passo stava prendendo corpo; rimaneva da mettere in piedi un contesto ludico.
Così me ne sono uscito con un’idea, semplice ma efficace, proprio legata alle pizze.
Il cliente che entrava nella pizzeria, al momento di pesare la pizza, era esortato a stimarne “ad occhio” il peso. Se indovinava con uno scarto di 10 grammi, la pizza da comprare veniva au contraire consegnata in omaggio. Per il cliente il costo dell’operazione era invero piuttosto basso, anche perché non è facile indovinare il peso di un trancio di pizza al solo sguardo. Però, l’idea di poter “mangiare gratis” si è rivelata molto stimolante. Con questa prima azione avevamo creato un interesse da parte del pubblico per il nostro piccolo gioco: ora dovevamo lavorare proprio sul concetto di “partecipazione”.

La permanenza nella pizzeria è spesso limitata alla fase di acquisto del prodotto gastronomico: alcuni si portano poi il cibo in ufficio o lo mangiano davanti la fermata del bus. Dovevo trovare un modo per aggiungere una dimensione “sociale” all’azione del gioco, per creare una piccola “community” nella pizzeria. Si è quindi deciso per l’acquisto di una lavagnetta con pennarelli delebili (…cioè quelli il cui tratto si può cancellare); la lavagnetta con i gessetti il “pizzettaro” l’ha invece bocciata subito per motivi igienici. I clienti che, avendo partecipato al gioco, non avevano indovinato il peso esatto della pizza, potevano trovare trascritti sulla lavagnetta il proprio nome correlato ad una cifra che indicava di quanto avevano sbagliato la stima del peso, ad es.:

– Federico -30 g
– Enrico -45 g
– Marco +50 g

in maniera da dar vita ad un “roster”, cioè una specie di classifica.

Questo ovviamente non veniva fatto per tutti i clienti, ma solo per quelli che lo volevano e che rientravano nel range corretto. In pratica, se qualcuno si avvicinava ad indovinare il peso corretto della pizza con una migliore approssimazione rispetto a quanto avevano già fatto gli utenti già presenti nel roster, si toglieva dalla lista il nominativo più in fondo, e si provvedeva a piazzare il nuovo nominativo nella giusta posizione all’interno della classifica (un po’ come succedeva nei vecchi videogame cabinati da bar). Questo lavoro non è stato immediato quanto il precedente, sia perché ha richiesto maggiore attenzione da parte del gestore e del personale della pizzeria, sia perché c’è voluto un po’ di tempo per spiegarlo ai clienti stessi del locale e perché la voce si spargesse.
Lo scopo di questa azione era duplice. Da una parte, il giorno dopo, veniva nominato un vincitore (…naturalmente il primo in classifica), cui ipoteticamente poteva essere consegnato un premio (…un trancio di pizza gratuito) e quindi i clienti venivano spinti a tornare a mangiare la pizza nel locale più volte, per partecipare alla “competizione”, per scoprire il giorno dopo se avevano vinto e magari proprio per vincere. Dall’altra prospettiva, la competizione serviva a mettere insieme un gruppo di persone che, anche non conoscendosi, potevano condividere un’azione di gioco, creando una specie di legame di “affiliazione”.

Dopo qualche rifinitura ed aggiustamento in corsa, il risultato finale è apparso ottimo: la gente tornava, portando gli amici e chiedendo di identificare i nomi scritti sulla lavagnetta.

L’avviamento di questo progetto è durato solo un paio di settimane: ma il cliente mi ha confermato che l’idea continua a funzionare e che la prospettiva di “magiare gratis” attrae tantissimi clienti, e gli introiti superano di molto l’investimento fatto inizialmente. In effetti, molti clienti occasionali della pizzeria, dopo aver visto che si può vincere per davvero, tornano per provare. Inutile dire che il cliente è molto soddisfatto.

Il senso di tutto questo discorso lo possiamo perciò riassumere con due nozioni.
La prima è che per mettere in piedi un progetto di gamification non è necessario un budget elevato (…se lo è meglio, se non lo è, conta comunque più l’idea che sta alla base del progetto stesso): l’esempio che ho portato dimostra, infatti, come per mezzo di un budget congruo (ma non certo miliardario) fama e rientro economico si siano rivelati abbastanza immediati. In realtà, solo facendo uso della leva psicologica giusta.
La seconda è che, se persino in un contesto simile si sono potuti applicare i principi della gamification, non c’è esattamente un limite a ciò che si può fare nell’ambito dell’IT, dove gli stessi principi risultano più facilmente adattabili e “spalmabili”, data la natura stessa del medium utilizzato sia da coloro che offrono beni e servizi, sia dagli acquirenti finali di questi ultimi.

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