Intervista su "Il mestiere di regista"

da DVD World, n. 16, marzo 2001

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“Il lavoro del regista è quello di scegliere”
Intervista a Mimmo Calopresti

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a cura di Federico Chiacchiari

DW La prima cosa che chiederei riguarda il tuo background, ossia come hai imparato a fare il regista, anche perché credo sia molto interessante la tua provenienza dal documentario…
Non solo dal documentario anche dal bassissimo costo produttivo… Io ho cominciato facendo dei video quando, anni fa, era il modo più economico per iniziare a “fare cinema”. Era possibile autoprodursi, fare qualcosa che riguardasse il cinema anche se non era ancora un film, era il mettere insieme delle persone che avevano voglia di fare cose, autofinanziandosi spesso, oppure cercando finanziamenti negli Enti Locali. Insomma io cercavo di sfruttare qualunque occasione produttiva, anche piccola, da una parte per poter realizzare le cose che avevo in mente, dall’altra per una sorta di “studio autodidatta”, per imparare il cinema insieme agli altri.

DW Quindi il tuo approccio è stato immediatamente rivolto verso la regia…
Si, all’inizio stavo con questi gruppi che, in maniera se vuoi un po’ infantile ma anche molto romantica, facevano discorsi di lavori collettivi, per cui tutti dovevano far tutto, ecc… Ho fatto altre cose, ma all’inizio mi divertiva l’idea di far parte di un gruppo che si occupasse di cinema.

DW Come ti sei trovato invece a fare dei documentari?
Quando ho iniziato io c’era ancora il discorso di far parlare chi non aveva voce, c’era una televisione che faceva sempre le stesse cose, e l’idea del documentario era quella di raccontare persone che stavano ai margini, persone che avevano meno possibilità di esprimersi, oppure di far vedere dei mondi che io conoscevo meglio, insomma l’idea era raccontare quello che mi stava intorno. Poi negli anni questa cosa è finita perché oggi in televisione vanno a parlare tutti…

DW Si, in effetti c’é pure troppo realismo…
Si c’è fin troppo realismo, hai detto la frase giusta… ma allora c’era questo spazio di libertà. Il fatto di avere questo mezzo a disposizione mi permetteva di raccontare qualcosa che avevo voglia e che valesse la pena raccontare.

DW Si trattava poi di documentari molto immersi nel sociale, ne ricordo uno sulle carceri…
Assolutamente. Carceri, zingari, ecc… era l’idea di raccontare il movimento che c’era attorno a me, che mi faceva pensare a me, a cosa volevo nella vita, ecc…

DW Hai fatto questo lavoro “di base” per diversi anni, come è avvenuto il passaggio alla “vera” regia cinematografica?
Avevo voglia, come tutti, di far cinema. Pensavo che nel raccontare dei personaggi reali già il modo di raccontarli fosse un modo di far cinema. Mentre li intervistavo potevo inquadrarli in un certo modo, nel montaggio potevo mostrarli in un altro modo, insomma potevano quasi diventare dei “personaggi” nelle mie mani… molto vicino alla finzione. Ma non sempre quando fai un lavoro sulla realtà riesci poi a farla vedere, c’è sempre bisogno anche di inventare un po’, c’è la parte che ti sfugge, che non riesci a riprendere. Una cosa che ho imparato facendo il documentario è che non sempre è possibile rappresentare quello che vedi, non sempre il cinema è all’altezza… quindi anche la fiction è stata una forma di evoluzione per me.

DW Però sei partito narrando di cose che conoscevi bene… ricordo che avevi fatto un documentario sulle carceri di Torino, poi un video intitolato Paolo va al lavoro, che era un po’ ironico perché solo alla fine si vedeva che il protagonista rientrava in carcere alla sera… Quando arriva La seconda volta con Nanni Moretti, comunque l’ambito resta quello…
Naturalmente, c’era un legame diretto, una continuità con quello che avevo fatto fino ad allora. Il mio è un passaggio molto semplice. Avevo voglia di raccontare una storia, avevo conosciuto delle persone in carcere con cui avevo lavorato nei documentari, volevo raccontare un pezzo della loro storia. Ho cominciato a scrivere, sono venuto a Roma dove ho trovato una sceneggiatrice, Heidrun Schleef, che poi ha lavorato anche in altri miei film, poi abbiamo incontrato Francesco Bruni, e insieme abbiamo scritto la sceneggiatura de La seconda volta. Quella sceneggiatura dopo traversie iniziali, dopo diversi tentativi andati a vuoto, ha avuto due fortune: prima ha vinto il Premio Solinas, che allora premiava sceneggiature da cui si sarebbero fatti film, e poi Nanni Moretti e la Sacher Film mi hanno chiesto di leggerla e poi hanno deciso di produrla…

DW Superata lo scoglio del primo film, dove molti si fermano in Italia, la cosa diventa molto più difficile o più semplice, dal punto di vista anche produttivo?
Diventa più difficile… Per me non è stato difficile e anzi fino a oggi ho la fortuna di essere io a decidere come voglio fare i film produttivamente. Ma so bene però che – guardando anche gli altri – può essere più difficile, perché dipende dal tipo di affermazione che hai, come l’hai avuta, in che maniera sei arrivato lì. Il modo in cui cominci il cinema è fondamentale, è li che ci sta un progetto e che cominci a definirti per quello che sarai e ti crei anche la possibilità per il futuro. Qualche volta si fa un primo film, magari sei fortunato, ti va bene perché hai azzeccato qualcosa e forse era solo fortuna, era solo una combinazione. La vera difficoltà ce l’hai con te stesso, quando cominci a intuire che lavoro è quello del regista, capire dove vuoi andare, come vuoi farlo. Ancora oggi io, dopo aver fatto tre film, ogni tanto mi domando cosa voglia dire realmente fare un film…

DW Secondo te quali sono, da punto di vista pratico, le competenze necessarie per un regista, che cosa deve saper fare?
Molte cose. E’ uno che si impiccia del lavoro di tutti…lo esprimeva benissimo François Truffaut in Effetto notte che passava in mezzo al set e tutti gli chiedevano qualcosa e diceva: “il lavoro del regista è quello di scegliere”. Cioè tu devi prenderti la responsabilità di scegliere, e quando ti prendi quella responsabilità sono convinto che stai facendo il tuo lavoro. Scegli con i costumisti, con la sarta, non devi scegliere solo le grandi cose, ma tutti i giorni anche le cose piccole, in continuazione… Devi scegliere se un personaggio, ad esempio, deve stare sopra o sotto il marciapiede, sembra una stupidaggine, ma è così, perché cambia l’inquadratura, come stanno vicino due persone vestite in un certo modo, come sono pettinate, truccate, come stanno parlando, come arrivano i discorsi che stanno facendo, se la voce è alta, bassa, comprensibile o meno. Sono piccole cose fondamentali, perché poi lo spettatore lo vedrà e ascolterà il film e tutto ciò che riguarda il vedere e il sentire ti deve riguardare.

DW Sulla sceneggiatura so bene che ci metti mano, ci lavori assieme ad altri non sei perciò un regista che lavora su sceneggiature scritte da altri… ma mi interessava il lavoro che fai con gli attori, se fai delle sedute prima, se si analizzano insieme i personaggi… Tu hai lavorato con attori molto diversi, da Gerard Depardieu ai ragazzi esordienti di Preferisco il rumore del mare…Io faccio un lavoro “di contatto”, come lo chiamo io, molto forte. Cerco di farmi capire e di capire qualcosa di loro come persone, prima di tutto, per comprendere quello che andremo a fare insieme sul set. Li incontro parecchie volte. Di solito molto spesso prima di decidere di fare con loro un film e, quando ho deciso, continuo a sentirli, a vederli, magari faccio dei provini su una scena, qualche volta leggo con loro qualcosa…
DW Fate anche il lavoro di analisi sui personaggi…quello che non si vede del personaggio ma che l’attore e il regista devono comunque sapere?
Si, quelle sono cose che si fanno, ma per me il problema è di non far diventare quelle cose il centro del lavoro. Il centro secondo me è capire quello che combineremo assieme, cioè riuscire a farlo praticamente. Questa parte psicologica deve venir fuori senza mitizzarla, non bisogna trovare a tutti i costi la psicologia più profonda. Io spero di trovarla insieme agli attori con un po’ di fortuna e di magia…

DW Invece con il direttore della fotografia che tipo di rapporto c’é? Sulla scelta del taglio delle inquadrature, dei movimenti della macchina da presa, ecc…
E’ il rapporto forse più difficile di tutti sul set. Io cerco di dire quello che voglio e cerco di verificare che ho ragione, che funzioni meglio, ma sto anche ad ascoltare con attenzione quello che mi dicono loro. Ho le mie piccole manie su come inquadrare le persone, sulla distanza della macchina da presa, sulla grandezza e sugli obiettivi…non sono un grande esperto fotografico, né di messa in scena, però cerco di inquadrare le persone nel modo che mi piace e soprattutto cerco sempre di avere un punto di vista sulla scena che ovviamente concordo e scelgo assieme al direttore della fotografia. Delle volte ha ragione lui, altre volte io…

DW Ti metti proprio dietro la macchina da presa come fanno molti registi, a volte anche solo per farsi riprendere nei backstage dei film….
Si, a volte, non in maniera ossessiva. Controllo la scena in maniera diversa, al monitor qualche volta, sul set direttamente, dietro la macchina da presa, al fianco dell’operatore, dipende da come mi sento e da cosa sto cercando in quella scena. Il direttore della fotografia è quello che ti può mettere in condizione di farla al meglio.

DW Invece che rapporto hai con il montaggio?
E’ un momento fondamentale per il film, anche quello che ti rende più nervoso, perché non puoi tornare indietro e vedi solo errori e cose che avresti potuto fare diversamente….

DW Non credi perciò al mito di salvare il film al montaggio…
Secondo me è senza senso….Tu non avrai mai niente di più di quello che hai girato, quello è il tuo film. Piccolo, bello, brutto, grande, ecc… Il montaggio è il momento in cui devi cercare di dargli un senso. Può aiutare la narrazione sicuramente, può recuperare qualche pausa, qualche silenzio, oppure, al contrario, può tagliare per velocizzare, per avere più ritmo. E’ un momento fondamentale ma non credo che possa salvare il film. Sai cosa mi piacerebbe? Avere tanti soldi e qualche volta ri-girare qualcosa che non mi piace…. Mi piacerebbe dire “adesso vado e la rigiro questa scena”….Perché sul set c’è sempre qualcosa che scegli abbastanza velocemente. In film non ad altissimo costo non ti puoi permettere tempi lunghi e grandi riflessioni, perciò devi scegliere e decidere sempre molto in fretta.

DW Tu fai film sempre della stessa durata, circa un’ora e mezza, è una scelta?
Si mi piace l’idea del racconto della durata breve. Ho un’idea del cinema come di un racconto di una persona, non di un affresco con più storie dentro. La mia idea è quella di raccontare la storia di una persona, di due persone che si incontrano e mi sembra che il taglio più giusto sia quello breve…

DW La storia che i tuoi film vanno meglio in Francia che in Italia è vera o falsa?
No, non è vera… vanno in Francia, escono un mese in sala e hanno un buon pubblico…ma sono leggende. Sono uno dei pochi registi italiani che riescono sempre ad uscire in sala in Francia. Ho un’attenzione dalla stampa, un po’ di pubblico, un risultato buono rispetto a un cinema italiano che non riusciva neppure a entrare in sala, fino a qualche anno fa, ma non sono il solo, per fortuna.

DW A cosa stai lavorando oggi, ci puoi anticipare qualcosa?
Sto scrivendo la sceneggiatura del mio nuovo film con Francesco Bruni, che dovrei riuscire a girare entro quest’anno… Ovviamente non posso anticiparti molto, ma posso dire che sto cercando di fare un film molto molto libero, che è la cosa più difficile di tutte quando fai cinema. Dopo aver fatto tre film comincio a riflettere su cosa è fare il regista, metto in discussione tutto, anche questo… A volte la capacità di esprimersi con il cinema è bloccata da molte cose, a volte proprio da se stessi, da quello che sei capace di esprimere. Ecco io spero di fare un film che, sia dal punto di vista formale che da quello del racconto sia molto libero, che si respiri una grande libertà…un film un po’ più irreale, non realista del tutto…

DW Surreale?
Si, un pochino, più libero, più da prendersi un po’ in giro…che sia capace di prendere in giro me…

DW Un po’ più leggero, dunque…
Fortemente leggero. Se devo essere leggero vorrei esserlo tanto… perciò più surreale, che sappia anche far ridere sulla nostra “tragedia umana”, sulle nostre condizioni di vita…

DW La parola amore esiste aveva i suoi momenti tragici interiori ma anche momenti buffi, divertenti…
Spero che ci sia anche qui la voglia di ridere, di ridere di noi stessi e degli altri… Vorrei riuscire a rappresentare un umore diverso che ho in questo momento.

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