"Io, robot" di Alex Proyas

Film "biblico" spaventosamente futurista dove le 12 tavole diventano tre sole leggi e in cui ragione e sentimento possono pulsare anche in un tessuto cybernetico. Dopo i risucchianti universi buii de "Il corvo" e "Dark city", Proyas anima un tetro mondo d'abbacinanti metallicità in cui le macchine (da presa e attoriali) turbinano sempre vorticosamente

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"Io, lattina" è il titolo sotto-pelle più vero, più profondo di questa pellicola. E' l'epiteto spregevole che il detective Del Spooner (Will Smith) rivolge a quei robot androidici che si confondono impunemente e tranquillamente nella folla di umani, servendoli senza chiedere nulla in cambio. Dopo gli spietati alieni di Independence day Smith torna a confrontarsi con qualcosa di ancor più sconosciuto che solo visivamente sembra esterno-separato da lui, invece il vero nemico sono i suoi ricordi, il suo essere umanamente ibrido con quel tanto disprezzato braccio robotico altro-da-lui e una vita che non è più sua. Non più sua per aver posseduto una manciata di punti percentuali in più di possibilità di sopravvivenza rispetto a una bambina che, per questo, è stata lasciata affogare mentre il robot-salvatore lo tirava fuori dalle acque, più di settant'anni dopo il libraio parigino immerso nella Senna in soccorso del renoiriano barbone Boudou-Simon. La condizione "fuori-tempo" di questo detective (distante dai colleghi come possono esserlo lo Spade hustoniano del vecchio Bogey o il Marlowe altmaniano di Gould rispetto al Callaghan siegeliano di Eastwood) è la sua soffocante gabbia, costretto a vivere in un iper-tecnologico 2035 che gli sta stretto come una camicia di forza, dove si ostina a indossare orgoglioso Converse modello All star della "gloriosa annata 2004" (sic), ad ascoltare musica con un anti-diluviano lettore cd azionato da un telecomando quando ormai a voce si comanda ogni aggeggio elettronico sul mercato e a mangiare i manicaretti cucinati dall'amata nonna che col suo calore affettivo incarna, con sorprendente retro-gusto amaro, quell'umanità sempre più fredda che gli si stringe intorno. Le macchine diventano nel film di Proyas specchi dell'anima dove l'uomo-creatore, che in quest'accezione si sostituisce così a Dio, riversa le sue utopie sulla pace, il comfort, il controllo ma si dimentica dell'essenzialità e della sublime inafferrabilità dei sentimenti e delle emozioni in quelle tre leggi della robotica (1. Un robot non può far del male ad un essere umano né permettere – non intervenendo – che qualcosa o qualcuno facciano del male ad un essere umano, 2. Deve sempre obbedire agli ordini impartiti da un essere umano, a meno che essi non confliggano con la Prima Legge, 3. Deve sempre salvaguardare la propria esistenza, a meno che così facendo non debba infrangere la Prima o la Seconda legge), redatte dal grande scrittore Sf Isaac Asimov. Film "biblico" spaventosamente futurista dove le 12 tavole diventano quindi tre sole, semplicistiche, leggi e in cui ragione e sentimento possono pulsare anche in un tessuto cybernetico… e commuoverci. Sorprende che dopo gli universi dove il buio risucchia tutto e tutti de Il corvo e Dark city Proyas, insolito regista nel panorama contemporaneo, autore per di più alcuni mesi fa del fluorescente e inessenziale Garage days esordisca con una major animando un tetro mondo d'abbacinanti metallicità in cui le macchine (da presa e attoriali) turbinano sempre vorticosamente. Oltre ad un cast all'altezza (perdonabili alcuni eccessi di drammatica mimica facciale della dottoressa Susan Calvin/Bridget Moynahan, già vista in Al vertice della tensione e La regola del sospetto), la marcia in più del quarto film in 10 anni del regista d'origini egiziane è una tecnica registica raffinata (esaltata dalla lucente e tagliente fotografia bianco-azzurrognola di Simon Duggan), furente ma efficace senza essere strabordante che ben accoglie una sceneggiatura praticamente impeccabile, capace di tenere talvolta in miracoloso equilibrio effetti speciali d'ultima generazione e "vecchia tecnologia" dei nostri giorni, ironia e tensione thriller-noir con idee di elementare funzionalità (l'inseguimento inutile in apertura del supposto robot-scippatore che libera però nell'aria il seme del sospetto, la strizzatina d'occhio come veicolo di complice umanità tra il detective e il robot-amico Sonny). Ciliegina sulla torta un finale intonato dove Sonny, Mosé robotico di terzo millennio, chiama a sé il suo popolo per una viaggio alla ricerca di una terra di possibile integrazione uomo-macchina.

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Titolo originale: "I, robot"
Regia: Alex Proyas
Interpreti: Will Smith, Brodget Moynahan, Bruce Greenwood, Alan Tudyk, Chi McBride, James Cromwell
Distribuzione: 20th Century Fox Italia
Durata: 115'
Origine: Usa, 2004

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