It takes 1000 Fans To Back Us Up – NFT, musica e internet delle origini

La musica è uno dei pochi contesti ad aver cercato di trarre il meglio dal mercato NFT, riscoprendo una sorta di intimità tra performer e il pubblico che ricorda i vertiginosi spazi del web 1.0

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Capisco che quello degli NFT è attualmente un tema caldo e sta prendendo sempre più piede, ma lo sta facendo unicamente in ottica di profitti e senza alcun impatto positivo verso i creatori o gli utenti

A parlare è Atsushi Inaba, CEO di Platinum Games, a cui bastano solo un paio di battute per disinnescare la Next Big Thing del mondo tech: gli NFT, in fondo, non sono un bene profittevole per il mondo videoludico.

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In un pezzo di approfondimento sulla questione, Casey Newton su TheVerge annota come, tra le ragioni della mancata presa degli NFT nel contesto del gaming c’è un’utenza fiaccata da un sistema che già da tempo cerca di sostenersi attraverso malcelate richieste di denaro ai giocatori, tra microtransazioni e loot boxes, ma certamente un ruolo importante in questo senso lo gioca anche il fatto che l’elemento collezionabile insito negli NFT ricordi il processo alla base dell’acquisizione achievement, dei trofei, delle ricompense in-game, che i giocatori ottengono, gratis, semplicemente giocando.

In prospettiva, forse, solo l’industria musicale pare aver capito come trarre il massimo dai Non Fungible Tokens.

È, certamente, il contesto che ci dialoga da più tempo, che già nel marzo 2021 accoglieva il primo album pubblicato in NFT (si tratta di When You See Yourself dei Kings Of Leon), in cui copie NFT e tradizionali dello stesso brano convivono pacificamente e che, sempre secondo la Newton, tra memorabilia, tazze, magliette, ha maggiore confidenza con la cultura della collezionabilità. Ma il discorso è evidentemente più complicato di così.

A dimostrarlo bastano due eventi antitetici.

Nella primavera del 2021 Shawn Mendes collaborò con il designer Genies, per trasformare la sua chitarra, il suo anello, gli abiti di scena del suo ultimo tour, in NFT promozionali per il market Sturdy. L’iniziativa, però sembra essere finita in un nulla di fatto, persino i social l’hanno ignorata; qualche giorno fa, invece, gli organizzatori del festival Coachella hanno annunciato di aver messo all’asta, in forma di NFT, dieci pass a vita per la manifestazione, raccogliendo uno straordinario consenso.

NFT

E allora, forse, il dialogo tra musica e NFT è davvero efficace quando non perde di vista quell’elemento esperienziale, quel rapporto con il mondo reale che si sta rivelando un elemento sempre più centrale nel rapporto tra digitale e utente gli NFT nel gaming precludono ai giocatori.

È un dettaglio fondamentale, questo, che ridisegna anche il ruolo degli NFT per gli artisti. È opinione comune che gli NFT siano soprattutto usati per evitare la distribuzione dei brani sulle tradizionali piattaforme streaming, che spesso, tra royalties e percentuali, riducono a zero il guadagno dell’artista da ogni stream.

A dimostrare l’efficacia dei tokens in questo senso alcuni racconti esemplari, come quello del rapper Halik Maule, che ha distribuito i suoi brani in NFT sul marketplace Catalog guadagnando circa trecentomila dollari (a fronte di entrate irrisorie se quei stessi brani fossero stati distribuiti su Spotify). Ma l’assenza di veri intermediari, tra opera e artista ha stimolato soprattutto lo sviluppo di un microcosmo in cui è possibile riscoprire il libero dialogo, tra il performer ed il suo pubblico. Lo stesso Catalog, ad esempio, è il regno di decine di artisti emergenti, che piuttosto che sfidare gli algoritmi di Spotify, preferiscono proporre la loro musica alla cerchia ristretta del loro fandom, massimizzando i guadagni e ammantando di un alone di esclusività le loro creazioni.

NFT

Più interessante è il caso di Royal, sorta di via di mezzo tra servizio streaming e marketplace, che permette agli utenti non soltanto di possedere in forma di token le tracce degli artisti ma, soprattutto, di condividere con loro gli introiti delle royalties.

Questa traiettoria che incrocia artista ed imprenditorialità del fandom viene portata all’estremo da MusicFund, piattaforma di cui tutti possono diventare membri acquistando particolari NFT e che ogni mese sceglie di finanziare un piccolo gruppo di artisti attraverso i bitcoin del fondo comune.

Il dialogo tra musica e NFT disegna un contesto molto simile al web 1.0, fatto di ribellione alle convenzioni e libera collaborazione, uno spazio in cui la teoria dei 1000 true fans di Kevin Kelly, secondo cui bastano 1000 sostenitori appassionati a sostenere il lavoro di un’artista, pare confermarsi davvero.

Finora, tuttavia, il dialogo fra musica e NFT si è mosso su un terreno straordinariamente malfermo, le parti in gioco hanno ipotizzato grandi rivoluzioni, ma sembrano ignorare alcune criticità che rischiano di minare il dialogo dalle fondamenta.

La prima fa capo al ruolo creativo che anche il dialogo (soprattutto se conflittuale) con le case discografiche ricopre all’interno del ciclo vitale di un disco. Pensiamo al mastodontico processo di rework dei suoi album che tiene impegnata Taylor Swift da un paio d’anni. Impossibilitata a prendere il controllo dei master dei suoi primi dischi, in possesso della sua vecchia casa discografica, la cantante ha infatti deciso di reinciderli da zero.

E così quei dischi diventano affascinanti entità duali, tanto copie di qualcosa che è stato quanto prodotti totalmente nuovi, modellati dal tempo e dall’esperienza maturata negli anni dalla Swift. Se gli NFT musicali fossero esistiti all’inizio degli anni ’00, i dischi della Swift sarebbero stati materiale perfetto per quel mercato: la cantante va in rotta con la casa discografica e, se ha fortuna, in breve i master finiscono caricati su Catalog. Ma mancherebbe il conflitto, la tensione e, forse anche per questo, il materiale proposto sarebbe meno interessante di quello prodotti anni dopo.

Finora, poi, a trasformarsi in NFT sono stati brani, materiali inediti, ma è davvero incomprensibile l’assenza di un progetto che utilizzi l’ecosistema NFT per lavorare sulla qualità audio dei singoli brani: che senso ha, in fondo, possedere un brano “unico” che però è nello stesso formato audio di ciò che si trova sulle piattaforme? Perché non comprare, con il token, magari la versione in audio ad alta definizione dello stesso brano (che piattaforme come Spotify non potrebbero mai avere)?

L’ultima criticità è legata ovviamente all’assenza di una vera autoregolamentazione dei marketplace digitali.

Nel caso degli NFT musicali, il contesto è così veloce che già cominciano a emergere le prime spigolosità: in questo momento, ad esempio, nella sezione musicale di OpenSea, il più grande mercato di NFT, ci sono sia l’ultimo EP del sound designer Flume, contraddistinto da una rassicurante spunta blu che ne attesta il profilo verificato, quanto una strana collezione di svariati brani inediti del rapper XXXTentacion, giovanissimo talento della scena trap scomparso nel 2018.

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Lì il verificato non c’è però, ed ecco che l’asta diventa un salto nel buio. Ad un utente malintenzionato basterebbe poco per trasformare i brani del suo mp3 in NFT e lucrare su di essi bypassando l’artista oppure, i più abili, potrebbero creare NFT a partire da brani creati usando rudimentali sistemi di AI che ricreerebbero da zero la voce e lo stile di un determinato performer.

E allora ecco che il rapporto tra musica ed NFT arriverebbe rapidamente sull’orlo dell’abisso.

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