It’s fun, fuck the system. King Gizzard & the Lizard Wizard

Una panoramica sulla carriera dei King Gizzard & the Lizard Wizard, 16 album in 8 anni (5 nel solo 2017) che hanno fatto incontrare lo spirito ribelle del rock e la liquidità dell’epoca digitale

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I see through the bricks to the sea, crombling castle
Water’s rising up, thick and green, crumbling castle
Inching closer, each century, crumbling castle
Are we safe in our citadel?
King Gizzard & the Lizard Wizard – Crumbling Castle

Il rock è morto, ha ribadito in un’intervista di fine anno Gene Simmons dei Kiss. Ciò che lo ha ucciso, forse, è un certo immobilismo, il fatto di volersi arroccare, cristallizzare. In un’epoca in cui la musica si esperisce soprattutto su piattaforme digitali che la obbligano a liquefarsi, a contaminarsi in continuazione un atteggiamento del genere non può che essere deleterio. Forse è proprio nell’apice degli sforzi per evitare questo rischio, per non diventare il “castello cadente” del testo sopra citato, che i King Gizzard & the Lizard Wizard fanno uscire 5 album nel solo 2017. Un tentativo estremo di essere al passo con la liquidità del presente o di superarla?

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La band nasce nel 2010 a Melbourne, nel pieno della rinascita della scena lo-fi psichedelica australiana, i cui alfieri sono senza dubbio i Tame Impala. La provenienza geografica e il retrogusto lisergico sono probabilmente le uniche caratteristiche comuni con i King Gizzard & the Lizard Wizard, forse il loro esatto opposto. I Tame Impala sono la creatura di Kevin Parker, unico autore delle versioni in studio dei pezzi del gruppo, che solo una volta registrati vengono provati insieme ad altri musicisti per renderli adatti ai concerti. Il garage rock sotto acidi dal quale la carriera dei King Gizzard parte per espandersi vive, invece, di un’anima profondamente collettiva. I sei membri della band riconoscono la loro guida nella voce e nella chitarra di Stu Mackenzie, ma è la chimica di gruppo che detta la linea e, soprattutto, i modi di comporre.

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Oltre alle confessate esigenze logistiche (“così nessuno doveva andare alle prove”), la loro musica nasce da lunghe jam sessions. Vuole e riesce a essere veloce, reattiva, incentrata sul presente. Questo è il marchio di fabbrica dei primi quattro anni del percorso dei King Gizzard, che raggiungono la velocità di crociera di 2 album all’anno. Partendo dal garage rock grezzo dell’esordio 12 Bar Bruise (la cui title track è stata registrata da Mackenzie con quattro iPhone), la band esonda in altri generi (l’acid rock dagli echi floydiani di Quarters! e il pop-rock zuccheroso di Paper Mâché Dream Balloon) o consolida le conquiste precedenti (I’m in Your Mind Fuzz). Questo moto concentrico si completa in Nonagon Infinity, un album circolare, in cui ogni canzone sembra sciogliersi fino a travasare nella successiva in un loop continuo. Il cerchio si è chiuso, la forma è completa. Ora è pronta a esplodere.

Il rock è morto e quelli che gli sono sopravvissuti tendono ad allontanarsi dal suo cadavere in decomposizione. Esigenze artistiche, ma anche economiche, spingono sempre più gruppi a navigare verso lidi più verdi, cercando nuove identità, ma operando spesso solo un rebranding che li fa finire in qualche playlist in più. Nel 2017 i KG riescono a sfuggire a quest’ottica paradossalmente estremizzandola: 5 album per 5 generi diversi, dal jazz (Sketches of Brunswick), al pop-rock (Gumboot Soup), sfiorando il progressive metal (Murder of the Universe) e sperimentazioni con la musica microtonale (Flying Microtonal Banana). È però Polygondwanaland il perfetto esempio di come la band sia ormai consapevole di sé e di ciò che la circonda. Nel web in cui tutto è solo apparentemente gratuito, l’album viene rilasciato gratuitamente: “Avete sempre sognato di fondare un’etichetta? Ora potete. Noi non possediamo quest’album. Voi sì”.

King Gizzard & the Lizard Wizard videoclip People Vultures

Lo spirito del web è cangiante, sbilanciato sul presente, lo si ritrova nelle connessioni che forma più che nelle parti che lo compongono. Ed è negli spazi, negli interstizi tra i loro lavori che va ricercata l’identità dei King Gizzard & the Lizard Wizard, nell’energia con la quale negli ultimi anni hanno continuato a penetrare i generi (il trash metal di Infest the rats’ nest e la upbeat di Fishing for fishies) oltre che il mercato stesso. Sul loro sito, KG hanno incitato i bootleggers (normalmente autori di versioni illegali di opere spesso musicali) a sbizzarrirsi con i 5 live album che la band ha fatto uscire nel 2019. Sono, inoltre, scaricabili i file grezzi di cui è (s)composta Automation, proveniente dal disco uscito in ottobre KG, che la band ha invitato a ricomporre come si preferisce (esperimento già tentato da Grimes). Nel febbraio 2021 sono attese novità su LW, che dovrebbe completare l’incursione nella musica microtonale e che potrebbe rappresentare un nuovo inizio per la band, ridottasi a 5 membri per la defezione del batterista Eric Moore (che rimarrà il loro manager). Nel frattempo, una cosa è certa: se il rock è morto, i King Gizzard & the Lizard Wizard sono riusciti a traghettarne l’energia dirompente, la voglia di non farsi incatenare, di giocare con la musica che sfugge a ogni sistema. It’s fun, fuck the system.

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