Jack in the Box, di Lawrence Fowler

Un horror che porta sullo schermo un nuovo, inquietante, clown demoniaco. Con risultati sotto le aspettative…

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Quello del clown demoniaco/assassino è un tema che nel cinema dell’orrore ha sempre incontrato fortuna. Sorvolando su fenomeni fin troppo noti come Pennywise/IT (nelle due interpretazioni di Tim Curry e Bill Skarsgård) o il Capitano Spaulding dei film di Rob Zombie, possiamo citare il demenziale (ma a suo modo inquietante) Killer Klowns from outer space, vera perla trash anni ’80; oppure il recente Terrifier, film meno che modesto ma con un villain, Art il clown, talmente feroce e carismatico da conquistarsi subito un posto fra i grandi babau dell’orrore contemporaneo.

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Lawrence Fowler con il suo Jack in the Box prova dunque a inserirsi in questo fortunato filone, con un prodotto indipendente e a basso costo.

‘Jack in the Box’ è il clown a molla chiuso in una scatola azionabile tramite una manopola. Un gioco per bambini non troppo diffuso in Italia, ma moltissimo dei paesi anglosassoni.
Il nostro protagonista, Casey, un ragazzo appena trasferito in Inghilterra dagli Stati Uniti, ne trova uno di pregevole fattura nel museo dove ha iniziato a lavorare. Aprirlo, come da topos del vaso di Pandora, scatenerà la malvagia e sanguinaria entità custodita al suo interno, che inizierà a mietere vittime fra i clienti e i dipendenti del museo.

Fin dal plot, l’impressione generale che dà questo film è quella di un prodotto indipendente decisamente poco curato. O meglio, Fowler sembra dare attenzione ad alcuni dettagli per poi trascurarne altri: il design della scatola, che ricorda quella del capolavoro di Clive Barker Hellraiser e quello del pupazzo, con i grandi occhi chiari che paiono fissare i personaggi (e per riflesso lo spettatore) sono decisamente affascinanti. Come affascinante è il mostro, vera entità ospitata dalla diabolica scatola. La creatura, interpretata dal giovane attore Robert Nairne risulta sicuramente feroce, inquietante e credibile nel suo essere a metà strada fra un pupazzo e un vero demone. Un look azzeccatissimo, a cui giova l’aver scelto il trucco prostetico invece della CGI.
Peccato però che le apparizioni della creatura siano fin troppo sporadiche e che la regia non le valorizzi a dovere.
Stesso discorso vale per la fotografia, decisamente troppo “pulita” per trasmettere a chi guarda qualsiasi senso di ansia o disagio,

Ma dove il film trova i suoi difetti maggiori è nella scrittura. La sceneggiatura non si allontana mai dai meccanismi collaudati del cinema horror (ritrovamento della fonte del male/liberazione del mostro/vittime/incontro con il mentore/Apparente sconfitta del mostro/plot Twist) e dà al suo villain una origine di sconcertante banalità, non più complessa di qualsiasi creepypasta fruibile in rete, e una “dipartita” altrettanto frettolosa e banale.
Al protagonista è stato dato sì un tragico backround, ma questo non ha il minimo impatto sul suo percorso all’interno del film, e sembra finalizzato solo a qualche scena fastidiosamente melodrammatica. A questo si deve aggiungere una verbosità decisamente eccessiva, con dialoghi poco incisivi e molto lunghi che minano pesantemente il già blando ritmo del film.

Titolo originale: The Jack in the Box
Regia: Lawrence Fowler
Interpreti: Ethan Taylor, Robert Nairne, Philip Ridout, Lucy-Jane Quinlan, Darrie Gardner
Distribuzione: Adler Entertainment
Durata: 87′
Origine: Gran Bretagna, 2020

 

 

 

 

 

 

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2.5

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
3.5 (2 voti)
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