Jafar Panahi condanna l’offensiva israeliana in Iran

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Corso estivo di MONTAGGIO, dal 22 luglio

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Il regista, per la prima volta libero di lasciare l’Iran, si è detto addolorato per non poterci tornare in questo momento di crisi, lanciando poi un appello all’ONU affinché si esprima contro Israele

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“2 settimane fa sono stato in Australia, invitato al Sydney Film Festival. Negli ultimi giorni poi è iniziata la guerra. Da allora cerco un modo per tornare a casa, dalla mia famiglia e soprattutto da mia madre. La chiusura delle frontiere aeree e terrestri mi ha praticamente chiuso fuori dal mio paese. Fino a ieri, ho fatto del mio meglio per tornare, ma è stato inutile”. Questo è l’inizio del messaggio che Jafar Panahi, vincitore appena qualche settimana fa della Palma d’Oro al 78° Festival di Cannes con Un simple accident, ha affidato al suo profilo Instagram per commentare le drammatiche vicende che riguardano i bombardamenti israeliani ai danni del suo paese, l’Iran.


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Si tratta di parole profondamente significative, soprattutto perché giungono da un uomo che attraverso il suo cinema e le sue parole non si è mai nascosto e ha sempre criticato il regime iraniano. Un uomo che pur di manifestare la propria libertà è stato spesso in carcere, accusato di propaganda contro la Repubblica Islamica (l’ultima volta tra il luglio del 2022 e il febbraio del 2023, periodo in cui aveva anche sostenuto uno sciopero della fame), e che nel 2010 aveva ricevuto per i successivi 20 anni un divieto di girare nuovi film e di lasciare il paese. La sua reazione era stata Ceci n’est pas un film, e dopo di quello Taxi Teheran, Tre volti e Gli orsi non esistono, tutti grandi film in cui la sua lotta personale (quella di essere libero di fare semplicemente il proprio lavoro) diventa spunto per meravigliosi racconti. E ciascuno di questi ha partecipato a festival internazionali di fatto di contrabbando, con Jafar Panahi che si è sempre assunto le responsabilità del caso. Proprio in occasione dell’ultimo Festival di Cannes, decaduto il divieto, aveva avuto la possibilità di lasciare l’Iran.

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Alla luce di questo breve excursus sulla turbolenta carriera del cineasta, risultano ancora più potenti le parole pubblicate sui suoi profili social: per la prima volta libero di allontanarsi dal proprio paese, eppure addolorato per non poterci tornare in un momento di profonda sofferenza per tutti gli iraniani. “Questa situazione è profondamente dolorosa e mortale per me; non solo per l’inevitabile distanza da casa, ma per la sensazione di incapacità di alleviare le sofferenze delle persone che ogni giorno vengono sacrificate nel cuore di questa guerra”.

Nei giorni precedenti Jafar Panahi aveva già condiviso un primo pensiero sugli attacchi aerei indiscriminati che Israele ha scatenato nei confronti dell’Iran: “Non nutro dubbi su questo punto chiaro e non negoziabile e anzi ho esplicitamente affermato la mia posizione, che ribadisco: un attacco alla mia patria, l’Iran, non è assolutamente accettabile. Israele ha violato l’Iran e dovrebbe essere chiamato in causa in un processo internazionale come aggressore di guerra”. Con la coerenza che contraddistingue la sua figura, neanche stavolta ha risparmiato un’aspra critica nei confronti del suo governo: “Questa posizione, però, non implica ignorare quarant’anni di cattiva gestione, corruzione, oppressione, tirannia e incompetenza della Repubblica Islamica. Questo governo non ha né il potere, né la volontà, né la legittimità necessari per governare il Paese o gestire le crisi”.

“Invito l’ONU e la comunità mondiale – continua Panahi – a costringere immediatamente, con decisione e senza alcuna considerazione o accordo, i due regimi a fermare gli attacchi militari e a porre fine alle uccisioni di civili. Rimanere zitti e inermi significa partecipare alla criminalità”. Un appello rivolto a tutta la comunità internazionale e alle istituzioni che, ad oggi, non si sono ancora espresse chiaramente sulla questione condannando l’accaduto.

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