JANET LEIGH, L'urlo più famoso, il sorriso più incantevole

Addio a Janet Leigh, l'attrice delle commedie e dei musical, di «Scaramouche» e di «Piccole donne». Diretta da Orson Welles, Anthony Mann, Jerry Lewis, passa alla storia del cinema per un'inquadratura. Quella del grido di «Psycho», diretto da Alfred Hitchcock

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È ricordata con il viso deformato da un grido di morte, un frame che segna la storia del cinema, Janet Leigh urlava in Psycho come l'uomo di Munch. Un urlo che dice di più della paura di Marion Crane, trasmette le vibrazioni emotive dei tempi. Allora, come ora, Janet Leigh urla per tutti noi. Era il 1960, tre anni dopo John F. Kennedy sarebbe stato ucciso. Era l'urlo dell'America già in rivolta. Stagliata nel bianco e nero di Hitchcock, Janet catalizza un'atmosfera di spaesamento che evoca il noir anni Quaranta e l'incursione di una malessere mentale. Ovvero Norman Bates, un Anthony Perkins, che estremizzava la perdita dell'identità maschile già investigata dall'uomo-erotico (Marlon Brando, James Dean…). Davanti a sé, Marion Crane ha una creatura camaleontica, un essere inafferrabile, non più sensibile alla seduzione. Norman Bates si incarica di uccidere definitamente la diva con una «vera» coltellata al cuore. Centralità della psicanalisi e della nouvelle vague europea, che il maestro del brivido ripropone a suo modo e che dà all'attrice il suo fermo immagine immortale. Per questo, la notizia della scomparsa di Janet Leigh suona come un assurdo, un'impossibilità. L'attrice è morta ieri a Los Angeles all'età di 77 anni. Abitava a Beverly Hills, nel quartiere esclusivo dei ricchi e dei famosi, circondato dalle palme e chiuso da un cancello dorato. Era malata da tempo. Accanto a lei c'erano le figlie attrici, Kelly e la più nota Jamie Lee, entrambe nate dal matrimonio con Tony Curtis, il protagonista di A qualcuno piace caldo.Jeannette Helen Morrison (il suo vero nome) era di Merced, California (1927), figlia di un agente immobiliare. Modella e attrice, esordisce nel cinema grazie a Norma Shearer che per l'Mgm la fa debuttare nella Cavalcata del terrore (1947) diretto da Roy Rowland. La sua presenza un po' evanescente – è sottile, bionda, di una sensualità infantile – la consegna a ruoli di ragazza innocente al centro di conflitti drammatici come in Atto di violenza di Fred Zinnemann ('48) e ne Lo sperone nudo di Anthony Mann. Il sodalizio sentimental-artistico con Tony Curtis (lo sposa il 4 giugno 1951, dopo due matrimoni, con John Carlyle e con Stanely Reames) le fa scoprire anche il suo lato di attrice brillante. Anche se all'inizio è chiamata a interpretare film in costume come Il mago Houdini di George Marshall ('53), Lo scudo di Falworth di Rudolph Maté ('57) di ambiente medievale e I vichinghi di Robert Fleischer ('57).
Degli anni Cinquanta sono le commedie: Più morto che vivo di Norman Taurog, Mia sorella Evelina di Richard Quine (entrambi del `55) e il musical Ciao, ciao Birdie ('63) di George Sidney che la dirige anche nel magnifico Scaramouche ('52) accanto a uno scatenato James Stewart. Ecco la vera Janet, fata radiosa, sogno di bellezza, apparizione.

Una svolta nella sua carriera è dovuta all'incontro con Orson Welles che la chiama al ruolo di Susan Vargas nel thriller notturno L'infernale Quinlan ('58) e poi a quello con Alfred Hitchcock che la vuole per Psycho. Il regista inglese vede in lei il suo ideale di donna, la fredda, fragile bionda che nasconde abissi di perdizione.
Il ruolo di Marion Crane le regalò così una trappola d'oro, e lo stesso successe ad Anthony Perkins, invischiato nell'icona maledetta del folle motel. Janet restò, dice la leggenda, sette giorni sotto la doccia eternamente urlante, ma si guadagnò la nomination all'Oscar. Non per questo i suoi film successivi sono senza valore, anzi. Nel 1966, è insieme a Jerry Lewis sul set dell'insuperabile Tre sul divano. La troviamo poi diretta magistralmente da John Carpenter in Fog, e in piccole parti di molte pellicole cult. John Frankenheimer la dirige in Va e uccidi , ma l'attrice dedica sempre più tempo alla televisione (This is Maggie Mulligan e Tales of the Unexpected, On the Road). Si risposa per la quarta e ultima volta con Robert Brandt e appare in un cameo (accanto alla figlia Jamie Lee) nel sequel Halloween 20 anni dopo. L'ultimo film s'intitola A fate totally worse than death diretto nel 2000 da John T. Kretchmer. Nel 1984 pubblica l'autobiografia C'è stata davvero Hollywood.
Adesso che se n'è andata, tutta la sua carriera sembra dissolta in un'unica inquadratura d'orrore. Ma c'è un personaggio che pochi ricordano nella filmografia dell'attrice, e che ribalta l'immagine del grido disperato di Marion Crane. È Meg di Piccole donne, regia di Mervin LeRoy (1949). Il film è la seconda trasposizione del romanzo di Louisa May Alcott dopo quello di George Cukor, e ha un cast stellare: June Allyson, Peter Lawford, Margaret O'Brien, Liz Taylor, Rossano Brazzi, Mary Astor. Tra tutti, Janet Leigh è l'elemento catalizzatore della famiglia March, la sorella apparentemente meno inquieta, romantica, sensibile. In lei, nel viso bellissimo di Janet, passano desideri, sogni e delusioni di una generazione. La sua elegante timidezza parla senza gridare di un'educazione a diventare donna che diventerà violazione dei codici. Il sorriso di Meg cancella l'urlo di Marion.


 


 da il manifesto del 5 ottobre 2005

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