Jean Luc le fou (un altro sguardo è possibile)

Mentre viene omaggiato a Roma dai nostri amici di “Filmcritica” con un convegno e una retrospettiva, ricordiamo Jean Luc Godard attraverso l’incontro che pubblicammo nel settembre 1998: “Tutte le stori(e) del cinema secondo Jean-Luc Godard"

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Nell'ambito della dodicesima edizione del Cinema Ritrovato, promosso dalla Cineteca del Comune di Bologna, la proiezione in prima assoluta della serie completa delle Histoire(s) du Cinéma di Jean-Luc Godard, ha rappresentato uno tra i momenti più stimolanti della manifestazione. La presenza dello stesso autore ha contribuito a dare maggior rilievo ed unicità all'evento. Introdotto da Jean Douchet – uno tra i testimoni principali della nascita della 'Nouvelle Vague', che ha seguito come critico lo sviluppo del movimento -, Jean-Luc Godard ha incontrato il pubblico. Proponiamo qui di seguito le dichiarazioni rilasciate dal regista, scegliendo di suddividerle per capitoli, in base agli argomenti emersi nel corso del dibattito . I primi otto capitoli si riferiscono agli episodi delle Histoire(s).

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Non ricordo più in quale episodio dico che senza cinema non avrei saputo di avere una storia, questo mi ha permesso di pensare alla mia stessa storia e di inserirla in una più grande che si trovava ad un tempo fuori e dentro me. Mostrare ciò che sentivo, sentire ciò che mostravo. In fondo negli otto episodi alla domanda Che cos'é il cinema? non dò otto risposte, piuttosto ne suggerisco cento mila possibili.
Nel caso delle Histoire(s) sin dall'inizio c'erano otto titoli, che non sono mai cambiati e che ho cercato di illustrare.

1/A TOUTES LES HISTOIRES
Il primo titolo èToutes les histoires . Il cinema fin dall'inizio ha voluto raccontare tutte le storie, quelle che aveva raccontato la pittura, che aveva evocato la musica, quelle che avevano ugualmente evocato i romanzi e la poesia. E ancora le storie lette nei giornali, sentite alla radio e oggi viste in televisione, tutte le storie dai tempi antichi ad oggi. Volevo rendere l'idea che il cinema aveva voluto riprendere tutto a modo suo, comprese le storie che raccontano gli storici e anche quelle degli storici di cinema.

1/B UNE HISTOIRE SEULE
Il secondo titolo rispecchia la mia sensazione che le storie fossero in realtà una sola storia e che raccontare una storia fosse un atto di solitudine. Forse la lettura di Hegel e l'amicizia verso la filosofia tedesca avevano influenzato la mia visione.

2/A SEUL LE CINEMA
Il terzo titolo riguarda l'idea che soltanto il cinema ha potuto fare certe cose che nessun'altra arte aveva fatto. Buster Keaton, ad esempio, non ha avuto antenati letterari. Ho cercato di trovare i momenti in cui poter dire, soltanto il cinema ha fatto questo.

2/B FATALE BEAUTÉ
In tutto questo c'è anche della fatalità, da qui il titolo del quarto episodio, che é Fatale beauté. Nella fisica stessa dell'atto cinematografico c'era qualcosa di fisico e di metafisico.

3/A LA MONNAIE DE L'ABSOLU
Volevo parlare di quei temi che hanno a che fare con l'aspetto 'fatale', ovvero dell'assoluto.
Il titolo proviene da Malraux, da uno dei suoi libri sull'arte, La monnaie de l'absolu . In francese c'é un gioco di parole che dice che se abbiamo un rapporto con l'assoluto o se questo ha a che fare con noi, bisogna pagarlo e 'dare il resto'.

3/B UNE VAGUE NOUVELLE
Avendo fatto parte di un movimento artistico chiamato la nouvelle vague che oggi preferirei dire vague nouvelle, volevo giocare sul termine 'vague' che può al tempo stesso significare poca chiarezza, ma anche onda, come l'onda del mare. E questo in risposta a quanti mi hanno rimproverato di non essere molto preciso, in particolare oggi.

4/A LE CONTROLE DE L'UNIVERS
Il settimo episodio é come una sorta di conclusione, é la sensazione che ci sia qualcosa nel cinema, nel suono e nell'immagine, che appartiene alla tirannia e che vuole controllare l'universo.

4/B LES SIGNES PARMI NOUS
Nell'ultimo capitolo, Les signes parmi nous, parlo di certi segni presenti in ogni cosa che possono essere visti o uditi. Sono tracce e sintomi che permettono di raccontare una storia. Per il titolo ho preso spunto da un romanzo di Charles Ferdinand Ramu.

IMMAGINE MENTALE E PAROLA SCRITTA
La sceneggiatura era composta dagli otto titoli, poi ho scritto qualche testo e infine si é fatto poco alla volta, come del free jazz o come si fanno i quadri, i romanzi. Solo a Hollywood si fanno le sceneggiature. Si cerca un'immagine, quindi se ne aggiunge un'altra, forse non viene fuori nulla, ma c'é anche la possibilità di trovare la direzione giusta. La sola idea che avevo era 'soltanto il cinema ha fatto questo..' e rimane la linea guida di tutti i film.

HITCHCOCK
Per il penultimo episodio, a proposito del controllo dell'universo, volevo fare qualcosa su Hitchcock, perché mi era sembrato che per una decina d'anni fosse stato l'unico a dominare l'universo, miliardi di spettatori, facendone esattamente ciò che aveva voluto.
Quando ha voluto farli piangere, li ha fatti piangere, quando ha voluto spaventarli, li ha spaventati. Certo, era un artista, non ha fatto come Stalin o come Hitler. Quando Ingrid Bergman non voleva far qualcosa Hitchcock le rispondeva, 'mia cara Ingrid, non é che cinema'. Hitchcock é stato il solo artista, l'unico poeta maledetto ad aver avuto un successo mondiale.
Ciò che si ricorda oggi dei suoi film non sono le storie, è come capita certe volte alla pittura, per esempio a quella di Cézanne di cui ci si ricorda di un particolare. Dei film di Hitchcock ricordiamo una bottiglia di vino con della sabbia, una chiave. Invece ignoriamo perché Ingrid Bergman fosse lì e cosa facesse nel film. E' davvero curioso.

"CIASCUN OCCHIO NEGOZIA PER SE STESSO."
Non so più di chi sia questa frase, in effetti i titoli dei film intervengono come tracce e documenti storici. Questi otto episodi sono film di archivio, ognuno dei quali negozia per se stesso andando da una parte e dall'altra. In ciascuna frase si possono trovare mille informazioni diverse. Ad un certo punto avevo un'immagine di Misha Auer in Arkadin che aveva la lente e poi ho aggiunto altri occhi insieme all'immagine di un ciclope. In quel momento leggo una frase che dice, "ciascun occhio negozia per se stesso" e ho pensato di mettere insieme tutti questi elementi. Poi ho riflettuto sul fatto che era giusto così, dato che la cinepresa riprende con un solo obiettivo. E procedendo in questa direzione ecco che dopo l'immagine di Misha Auer ho trovato una foto sia di John Ford che di Nicolas Ray, entrambe con la benda su un occhio, e le ho inserite.
ARCHIVI DEL TEMPO PRESENTE
Quando andavamo da Henri Langlois a vedere i film, l'atmosfera era del tutto particolare. Innanzitutto non si chiamava cineteca, ma museo. Era un museo presente, che ci parlava, che mostrava cose che altri musei ignoravano. Credo di sentire il cinema in modo molto diverso rispetto a come lo sente chi lavora nelle cineteche. Ancora oggi se vedo un film di Feuillade o McCarey, ho la sensazione di un lavoro che appartiene al mio presente, non al mio passato.
Penso invece che sia gli archivisti, come del resto il pubblico, quando si parla del cinema di Griffith o di Leni, abbiano la tendenza a dire che sono vecchi film e che bisogna rimetterli a nuovo. Per noi registi, invece, se un film è buono è sempre nuovo, ci riguarda direttamente, è dei nostri tempi. Noi, quando a 25 anni andavamo a vedere un film di Murnau, lo sentivamo del nostro tempo, era senza età, anzi aveva il tempo del nostro primo sguardo sul cinema.
Se dovessi mettere un sottotitolo a queste Storie del cinema, io scriverei, Archivio del tempo presente , o nuovo modo di guardare gli archivi del tempo presente. L'esempio che cito spesso é quello di Feuillade o dei balletti russi. Oggi quando si parla di Picasso, Stravinsky, seppure non siano recentissimi, entrambi sono considerati moderni. Ma se si parla di Feuillade, i suoi vengono considerati film vecchi, nonostante siano dello stesso periodo.

CINEMA E PITTURA..LA CONTEMPORANEITÀ DELLO SGUARDO
Quando si va a vedere Giotto o Cézanne é lo sguardo che é contemporaneo, c'é bisogno del passato e di quello sguardo. Mi sembrava naturale visto che il cinema ha subito voluto raccontare tutto, inserire la storia della pittura ed in particolare quella religiosa, era un po' come mostrare il 'figlio' cinema ed il 'padre' pittura.

CINEMA E CRISTIANESIMO
Ad un certo momento cito, adatto una frase di Wittgenstein, dove sostituisco la parola cinema ad un'altra parola per dire, il cinema come il cristianesimo richiede un'operazione di fede nell'immagine. Hai una storia, ora ci devi credere Il cristianesimo ha dibattutto molto a proposito dell'immagine e secondo me, le più grandi cinematografie sono state europee.
Ecco perché ho detto spesso che c'è un cinema francese o ce n'é stato uno, lo stesso si può dire per il cinema italiano, per quello tedesco e russo. Però non c'è un cinema giapponese e neppure svedese, non perché non ci siano grandi registi giapponesi, ma si può parlare di film giapponesi e non di cinema, così come di film greci e spagnoli.
Il cristianesimo é sempre stato attento alle immagini, a fare pubblicità ai suoi testi, contrariamente ad esempio all'Islam. Infatti se si è sviluppato in questa maniera, è perché tutti i testi della Bibbia sono immagini, la trinità è un'immagine, la vergine è un'immagine, tra l'altro anche il negativo del cinema si chiama vergine .

IMMAGINI E SUONI DI UNA NAZIONE
E' un momento in cui gli storici dell'arte cercano di porsi la domanda se l'arte rappresenti qualcosa per la nazione. Non so se si possa dire che c'é stata una musica italiana e se si possa ancora affermare che abbia rappresentato qualcosa dopo la liberazione dall'Austria. Per Verdi si può certamente dire di sì, ma non si sa quale rapporto ci sia stato tra la musica italiana e quella viennese.
Cerco di fare ipotesi sul rapporto immagine e suono di una nazione e su come un paese senta di esistere attraverso un certo suono ed una certa immagine. Mi piace parlare di Roma città aperta come del solo esempio di cinema di resistenza in Italia. Storicamente questo lo spiego col fatto che l'Italia durante la guerra si é prima alleata coi tedeschi e successivamente con gli americani e che c'è stato un momento in cui gli italiani non potevano più guardarsi davanti allo specchio perché non sapevano più quale fosse il loro vero volto. L'Italia veniva riconosciuta dagli altri paesi come una vera nazione attraverso e grazie ai film di Rossellini, di De Sica i quali appunto mostravano il paese. C'era di nuovo la possibilità di potersi vedere in uno specchio che rifletteva un'immagine di cui essere fieri. In questo senso la Francia durante il periodo dell'occupazione di Vichy non ha fatto film. Soltanto più tardi gli americani hanno girato, Huston e altri. C'erano buoni film francesi ma di souvenirs, di memorie e di prigionieri.

A PROPOSITO DEI DOGANIERI
Sin da piccolo ho sentito parlare dell'Europa e mi sono sentito europeo, avendo la sensazione di far parte di un unico paese composto di molte province, le nazioni, di cui di alcune amavo la pittura, di altre la filosofia, di altre ancora la letteratura. L'Europa esiste da un punto di vista geografico e trovo che le frontiere siano importanti. Quelli che trovo spaventosi, però, sono i doganieri. Recentemente sono passato da Ginevra e non ho avuto alcun problema, invece una volta arrivato nello spazio Shengen da Nizza per entrare in Italia ho dovuto mostrare sei volte il passaporto. Dov'é dunque l'Europa?
Il cinema europeo è americano sin dal 1918. Oggi si potrebbe dire che ci sia un solo cinema che è il cosiddetto cinema americano, eppure non mancano qua e là film di altra provenienza. E mi spiace usare ancora una volta il termine americani, ma curiosamente gli abitanti degli Stati Uniti non hanno nome. E' un paese giovane concepito da inglesi, tedeschi, francesi che non ha memoria e quindi non è affaticato dalla storia. Credo che l'America debba andare a cercare altrove per iniziare a creare una nuova memoria, visto che quella degli indiani l'ha eliminata.
In quanto spettatore, mi piacerebbe capire perché preferisco andare a vedere un pessimo film americano rispetto ad un brutto film greco, o bulgaro. Non riesco a spiegarmelo.

(CON)FUSIONE NEL CINEMA
Non importa che l'impressione delle mie Histoire(s) sia di generare confusione. L'importante, però é che nella conclusione, nei cinque minuti finali ci sia un momento di chiarezza. Posso fare un'esempio. Nei campi di concentramento i tedeschi chiamavano gli ebrei in 'fase terminale', 'musulmani'. In alcuni libri, compresi quelli di Primo Levi, per descrivere le condizioni del deportato che non riusciva più a reggersi in piedi, si faceva riferimento ad uno stato di musulmanizzazione. Per quanto tanti scrittori lo avessero scritto, io sono stato uno dei pochi ad aver notato questo curioso raffronto tra musulmano ed ebreo, in quel momento preciso della storia.
Quando insieme a Gorin siamo stati a girare un film in Palestina, abbiamo discusso insieme ad Arafat sul fatto che ci sembrava che anche i musulmani fossero stati prigionieri. Arafat, però, ci ha detto di non aver nulla a che fare con quella storia, che riguardava solo noi europei. Eppure a noi era sembrato che pure i musulmani ad un certo punto fossero stati nei campi di concentramento, esattamente quando i tedeschi avevano deciso di chiamare gli ebrei, musulmani. Il cinema permette di avvicinare cose che non sono per forza avvicinabili, grazie al montaggio.

LA VITA É BELLA
Sarei andato a vederlo, se il film avesse il coraggio di portare il suo vero titolo, ovvero, La vita é bella ad Auschwitz.

NEL MONDO DELLE ICONE
Viviamo nel regno delle icone. A questo proposito, nel primo episodio parlo dell'iconoscopio. L'ideatore del tubo catodico ha chiamato la sua invenzione, iconoscopio, che poi solo molto più tardi si chiamerà televisione. Siamo nell'ambito religioso di un certo tipo di immagine che non é più quella di Bisanzio, bensì quella delle auto e di Benetton. E' un'icona come un'altra.

NICOLAS RAY
Ricordo che una sera eravamo nella sede dei Cahiers du Cinéma, ad un certo punto é entrato una specie di gigante. Ha toccato e spostato tutti i fogli, ha guardato tutte le foto sparse, poi ha telefonato, parlando in americano, infine è uscito. Rivette, ad un certo punto dice, 'credo sia Nicolas Ray', ma non sapeva neppure che volto avesse.

IL CALCIO
Non ho visto la partita Italia-Francia. Sono molto meno fanatico del calcio rispetto a vent'anni fa, ora mi interessa maggiormente il tennis.
JEAN-LUC GODARD.
Nato il 3 dicembre 1930 a Parigi, Godard è una delle figure cardinali della nouvelle vague insieme con André Bazin e François Truffaut, e ha marchiato a fuoco la storia del cinema. Attraverso la sua attività sui Cahiers du cinèma, con lo pseudonimo di Hans Lucas (l’amore per Fuller, Sirk, Hitchcock, Tashlin ecc.) pone le basi teoriche per tutto il cinema moderno venturo, muovendosi nel solco tracciato da Bazin («bisognerebbe citare Bazin in ogni articolo»). Nel ‘50 produce e interpreta Quadrille, suo esordio cinematografico. Nove anni più tardi dirige Fino all’ultimo respiro e il cinema non sarà più il cinema. Non a caso uno straordinario critico conservatore come Jacques Lourcelles fa risalire la morte del cinema proprio al ‘59. Da allora Godard ha attraversato tutte le contraddizioni e le passioni della modernità: dal maoismo militante all’avvento del video e della televisione. Ma la sua intelligenza critica, la virulenza polemica, la passione per il linguaggio e le sue torsioni, la struggente bellezza del suo cinema (tutto…) non è mai venuta meno. Fino all’ultimo respiro.

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