Jeanne du Barry – La favorita del re, di Maïwenn

Il film di apertura di Cannes 2023 è il tentativo di legittimazione autoriale della cineasta: il risultato gira però a vuoto tra le stanze di una Versailles illustrativa, spaesato come Johnny Depp

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L’aspetto più inconsapevolmente morboso del nuovo film di Maïwenn, scelto come apertura del Festival di Cannes 2023, è la sua natura di veicolo per il ritorno sullo schermo di Johnny Depp dopo la vicenda del processo per diffamazione vinto contro la ex-compagna Amber Heard: l’attore, accolto trionfalmente sulla Croisette, interpreta il ruolo di un sovrano imbolsito che sembra farsi circuire da una donna spregiudicata alla ricerca di una legittimazione di corte. E ci vorrebbe davvero una visione mixata in parallelo con i reel estratti dai video delle udienze in tribunale di Depp, per donare un po’ di guizzo all’impianto imbastito dalla regista, qui con ogni evidenza impegnata a inseguire anche lei il riconoscimento di uno status autoriale che deve obbligatoriamente passare per un respiro “adulto”, che guarda apertamente e abbastanza sfacciatamente al modello kubrickiano per i quadri di una Versailles illustrativa, da (sovra)esposizione (fotografia di candele, giardini a scacchiera e figurine in profondità di campo del veterano Laurent Dailland).
Il risultato è così che lo sguardo della cineasta di Mon Roi finisce per perdere anche quella vitalità scomposta, quell’ingenuità sgraziata che in passato erano state la cifra più sincera del suo cinema. Non è un caso che anche stavolta rimanga impressa di sfuggita più la sfrontatezza contagiosa della gang di figliolette e pargolette del Re, reginette di dispetti e sabotaggi.

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Ed è paradossale, perché il ritratto di questa cortigiana in grado di portare scandalo nella corte di Luigi XV, legando a se il sovrano per sempre e scardinando tutta una serie di pregiudizi sociali dell’epoca, per poi sopravvivere al monarca ed entrare a far parte del circolo ristretto di Maria Antonietta, sulla carta è esattamente la storia di una figura esuberante, eccedente, di una impertinenza vivace (elementi che riusciva a restituire bene Asia Argento interpretando lo stesso ruolo per il film di Sofia Coppola).

Maïwenn gira invece un po’ a vuoto, alla ricerca di sequenze ad effetto, in cui lo spettatore dovrebbe probabilmente reagire come gli invitati ai ricevimenti di Re Luigi, puntualmente stupiti e spiazzati ad alta voce dal comportamento della donna: la sensazione è quella di una sorta di coazione a ripetere, come il loop di inchini in cui sembra rimasta incastrata la protagonista la prima volta che si presenta in società al cospetto del Re. D’accordo, le vie dell’emancipazione passano sempre dall’interruzione forzata di pattern che si reiterano da generazioni, ma purtroppo la cineasta non riesce a trovare la cifra espressiva necessaria per operare la stessa parabola sul piano visivo – la sua generosa prova interpretativa, nel ruolo proprio di Jeanne, viene similmente depotenziata dalla evidente poca chimica con Johnny Depp. L’attore appare assente per tutte le sequenze che lo vedono in scena, quasi spaesato: eppure, in un paio di fuggevolissimi attimi, di primi piani insistiti, vedi ancora brillare sottopelle quell’inquietudine che ne avevano fatto uno degli sguardi più infuocati e meno pacificati della sua generazione, prima della ghigliottina.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2.6
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Il voto dei lettori
3.5 (4 voti)
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