Jeremy Renner – Like Steve McQueen

 jeremy renner

Il momento preciso in cui si è capito chi fosse veramente è facile da stabilire. Con The Hurt Locker e The Town l’attore californiano,impersona personaggi segnati da una rabbia immensa che viene mal trattenuta da un’impassibile glacialità. Uomini talmente esplosivi da essere costretti a forza in un mondo chiuso ermeticamente (l’Iraq, Boston)

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 I'm an all American rebel

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Making my big getaway

Yeah you know it's time
 I gotta fly
 
 
(Sheryl Crow)
 
 
 
 
 
Modesto, in California, non è troppo diversa da una qualsiasi altra cittadina della periferia americana che il cinema ci ha insegnato a conoscere. E’ facile, quindi, immaginare la tipica villetta americana dove un bambino biondo, seduto sul pavimento, è concentrato davanti alla tv, perso a vedere per l’ennesima volta i film del suo idolo. Magari è proprio in quei momenti, con le immagini epiche di Bullitt o Getaway, o forse per l’incredibile poesia de L’ultimo buscadero che Jeremy Renner prende la decisione che lui da grande diventerà un attore. Proprio come il suo eroe, proprio come Steve McQueen. Chissà, magari è stato proprio per un voto sacro fatto guardando un poster o un’immagine strappata da qualche rotocalco e attaccata sul muro, come un’icona sacra, che il ragazzo prende e parte per San Francisco, disposto a tutto pur di realizzare il suo sogno.
 
 
Gli inizi non sono facili. Tra la tanta televisione con i soliti ruoli insignificanti e il lavoro di falegname per pagarsi gli studi (professione che è diventata poi il rifugio per tornare con i piedi per terra tra un film e l’altro) la strada è in salita ma Jeremy è guidato da una determinazione di ferro, come il colore dei suoi occhi, e una rabbia che si riversa comunque in ogni cosa faccia. E’ cosi che arriva alla prima grande occasione, il ruolo del cannibale Jeffrey Dahmer, che lo porta ad avere per la prima volta, sulle spalle un intera pellicola.

Il film è dimenticabile, ma l’attore, giocando anche con la somiglianza fisica con il vero serial killer, ha il coraggio di spingere molto sul suo ruolo e di non accontentarsi del cliché dell’assassino psicopatico. Con questa piccola grande interpretazione, il nome di Renner comincia a girare e il suo volto appare spesso, ancora sempre in secondo piano, in diverse pellicole di valore disomogeneo. Lo troviamo di passaggio, dunque, in S.W.A.T. con l’amico Colin Farrell o in North Country nei panni di uno sgradevole operaio sessista (incredibile la scena dell’interrogatorio con l’avvocato Woody Harrelson). La sua morte precoce commuove nel discontinuo 28 settimane dopo mentre pur interpretando il personaggio più ingrato, tiene testa a Casey Affleck, a Brad Pitt e a Sam Rockwell nel clamorosoL’assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford di Andrew Dominik.  Siamo nel 2007 e l’attore Renner ha cominciato a farsi spazio in quel contesto affollato e confuso che è l’universo degli attori di Hollywood.
 
 
Il momento preciso in cui, però, da quest’amalgama indistinto si è arrivati a capire chi fosse veramente Jeremy Renner è facile da determinare. Siamo in un settembre afoso di un’umidissima laguna veneziana.  Kathryn Bigelow presenta in anteprima alla Mostra del Cinema The Hurt Locker, il suo film sul conflitto in Iraq dopo alcuni anni di silenzio. Il film, nonostante poi riesca a sbancare l’edizione 2009 degli Oscar, è ignorato dalla giuria del festival ma tutti rimangono stupiti di fronte all’interpretazione del suo protagonista.  Qui, l’attore californiano fondendosi con il sergente William James,il folle artificiere capace di disinnescare qualsiasi bomba, definisce per la prima volta il suo elemento chiave caratterizzante. Renner, in The Hurt Locker e soprattutto nel successivo The Town di Ben Affleck, impersona personaggi segnati da una rabbia immensa che viene mal trattenuta da un’impassibile glacialità. I suoi personaggi sono uomini talmente esplosivi da essere costretti a forza in un mondo chiuso e stabilito (l’Iraq, Boston), lo stesso mondo che rimane, però, l’unico posto dove possano vivere e avere una ragione di essere. Questa forza violenta e continua,che spesso sfocia in un 

modo di fare ironico e sbruffone, è il motore intorno al quale ruotano tutte le sue interpretazioni, a scapito delle pretestuose accuse di mono-espressività o di troppa rigidità. Renner è il classico ragazzo che vuole spaccare il mondo senza il bisogno di esagerare, e per quest’obiettivo non scende ad alcun compromesso, nemmeno quando è inglobato dal Sistema. Hollywood, infatti, non perde mai tempo e cercando di “corromperlo” gli ha donato le chiavi di alcune saghe di successo (The Bourne Legacy, Mission:Impossible), lo ha blandito con l’invito nel suo luna park più scintillante (Avengers e affini marveliani) e gli ha costruito su misura possibili succosi franchise (Hansel e Gretel – Cacciatori di streghe). In tutte queste mega-produzioni Jeremy con coerenza non si è distaccato mai dal proprio canone, continuando sempre e comunque, un personale e calcolato percorso di crescita personale che ben si rintraccia in performance sempre sentite e mai lasciate al caso (o peggio al mestiere).
 
 
Cos’altro dobbiamo aspettare da lui? Oltre agli scontati nuovi blockbuster (inevitabili The Avengers 2 e Mission Impossible 5) lo vedremo presto sedersi nell’album di famiglia di David O. Russell interpretando un politico esuberante in American Hustle e dividersi il set, con l’evocativo nome di Orlando The Magician, con Marion Cotillard e Joaquin Phoenix nell’imminente The Immigrant , diretto da James Gray. Lo stesso geniale Gray che forse, cosi dicono le voci, gli permetterà finalmente di realizzare quel sogno di bambino, essere almeno per una volta, veramente, Steve McQueen.

 

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