Jeunes mères, di Luc e Jean-Pierre Dardenne

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C’è il meglio della ‘visione neorealista’ dei due cineasti belgi, Stavolta è lo sguardo, cinematografico e morale, che è quello giusto. Tra i loro film più ispirati. CANNES78. Concorso

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Dopo L’enfant il tema della maternità torna ad attraversare il cinema dei fratelli Dardenne. Con Jeunes mères i due cineasti belgi lo affrontano in un film dal respiro più corale e si concentra soprattutto su  cinque adolescenti (Jessica, Perla, Julie e Naima e Ariana) che vivono in una casa famiglia per giovani madri e lottano per avere un futuro migliore per sé stesse e per i loro figli. Il cinema dei Dardenne non solo pedina le protagoniste ma fa sentire il respiro, le paure ma anche la determinazione. C’è chi sogna una casa, chi desidera rivedere la madre naturale, chi cerca di contattare in ogni modo il ragazzo ma non riceve risposte.

In Jeunes mères c’è il meglio della loro visione ‘neorealista’. L’obiettivo non è quello di creare apposta un’azione ma mettere le ragazze davanti a una situazione per farle agire. La scrittura, soprattutto dopo il deludente Tori e Lokita, è qui decisamente fluida, aperta. La vita delle ragazze si costruisce autonomamente e non si sente il peso della struttura drammaturgica. Un volto, un gesto. Jessica che segue la madre, Perla che cerca aiuto dalla sorella e poi le restituisce i soldi che le aveva prestato. Delle sue bravissime attrici non professioniste i Dardenne catturano la loro verità, gli scatti improvvisi, il buio dietro i loro desideri. Ma si soffermano anche sui dettagli: il battito nel cuore nella pancia, una poesia di Apollonaire, un abbraccio liberatorio. C’è una tensione interna in ogni incontro e spesso non si avverte lo scarto tra la finzione e la presa diretta sulla realtà. Il sospetto di didascalismo, che può esserci nella vicenda della madre che cerca di evitare che la figlia faccia adottare il bambino da una giovane coppia, sprigiona però un dolore e una rabbia autentici.

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I cineasti si caricano sulle spalle le loro protagoniste e, più che i corpi, sono i volti e le loro espressioni che raccontano la loro storia e le loro reazioni, anche prima delle parole. Inoltre stavolta Jeunes mères recupera quella luminosità di Due giorni, una notte, lascia intravedere un possibile orizzonte, anche nei tentativi di avvicinamento e nelle laceranti separazioni. C’è sempre però un filo che unisce queste azioni contrastanti. Tra quelle più intense,  c’è la lettera che una delle ragazze scrive per la figlia quando compirà 18 anni. Certo, è una scena appositamente costruita, dove i Dardenne hanno dato precise indicazioni di regia alla ragazza per realizzarla. Eppure i cineasti catturano quell’impulso che mescola la tristezza e la felicità insieme, le difficoltà del presente e la speranza sul futuro. I drammi segnano le vite delle protagoniste ma c’è comunque un confine sempre più labile tra l’azione e il fuori-campo. Così, anche dei momenti apparentemente non centrali, mostrano quei frammenti di un vento di libertà, sia narrativa sia formale. Una giovane coppia, il motorino, le auto che suonano. È quasi un ritorno agli spostamenti del giovanissimo apprendista meccanico di La promesse. Non è un ritorno alle origini. Oppure lo è in parte. Quella programmaticità degli ultimi film è comunque superata. Non c’è stato un restyling, né un nuovo metodo perché quello, al di là dei risultati, ha comunque mantenuto una coerenza nella loro filmografia. Stavolta è lo sguardo, cinematografico e morale, che è quello giusto. Anche per questo Jeunes mères è tra i loro film più ispirati.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4.2
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