“Johnny English – La rinascita”, di Oliver Parker
In questo sequel resta centrale il nucleo dell’entità Atkinson/Mr. Bean/007, quella capacità del tutto compulsiva di essere alieno, estraneo a tutti i contesti; resta centrale, quindi, tutto ciò che ne fa un unico: la mimica e il movimento. Ma questi elementi forti sono destinatati a scontrarsi, per lo più senza soluzione, non tanto con la dichiarazione di intenti iniziale quanto con una certa invadenza della scrittura
Sono passati quasi dieci anni dalla comparsa di Rowan Atkinson sul grande schermo nei panni di un 007 parodico. Cambio di regista e di scene: dal gelido soffocamento dei ricevimenti, dei grattacieli, dall’ipercontrollo (simbolizzato anche dalla recitazione dell’allora antagonista John Malkovich) del Johnny English di Peter Howitt, a una sorta di intrigo internazionale globale, questo sequel in cui il regista di L’importanza di chiamarsi Ernest e Dorian Gray spara il suo protagonista in contesti il più possibile improbabili, lo inserisce in acrobatiche sequenze d’azione che rievocano (molto più scopertamente, quindi più ludicamente, che nel film precedente) con immediatezza, a partire dai giochi grafici dei titoli di coda, gli originali cui il film si ispira. Nel primo Johnny English c’era una contraddizione, quella di un regista che si concentrava sulla corporeità (e poteva andare diversamente?) del protagonista senza però dargli una vera possibilità di movimento. In questo sequel resta centrale il nucleo dell’entità Atkinson/Mr. Bean/007, quella capacità del tutto compulsiva di essere alieno, estraneo a tutti i contesti; resta centrale, quindi, tutto ciò che ne fa un unico: la mimica e il movimento. Ma questi elementi forti sono destinatati a scontrarsi, per lo più senza soluzione, non tanto con la dichiarazione di intenti iniziale (è la mente che controlla il corpo, suggerisce subito a English la sua guida orientale/spirituale) quanto con una certa invadenza della scrittura, evidente soprattutto nelle scene al casinò e in quelle in cui l’agente segreto si misura con gli ultimi miracoli tecnologici che sta per ricevere in dotazione. Vero è anche, però, che il primo Johnny English non si concedeva troppo nello schizzare ai margini della pellicola schegge esoterico/cospirazioniste, mentre il film di Parker osa di più, pur sempre restando sottotraccia, nei confini del gioco. Ecco allora che alcune delle scene migliori emergono proprio dalle variazioni sui temi del controllo mentale, dell’ipnosi come metodo scientifico/professionale, della new age, e soprattutto del doppio, ma anche – ovvio, “english” – restando sui binari di quel “politicamente scorretto” che (anche qui, nessuna fuoriuscita libera) da qualche tempo ha sdoganato l’umorismo sulla disabilità.
Titolo originale: Johnny English Reborn
Interpreti: Rowan Atkinson, Gillian Anderson, Rosamund Pike, Dominic West
Distribuzione: Universal Pictures
Durata: 101'
Origine: USA/Francia/UK, 2011