"Joyeux Noel", di Christian Carion

Ce n'è a palate, di fango, nelle trincee di “Joyeux Noel”. Ma è finto. Non macchia. Non penetra nella pelle dei personaggi, nella loro piattezza da figurine del presepe, non intacca la monocorde riscoperta della bontà e della fratellanza con cui il regista satura ogni fotogramma.

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Vigilia di Natale 1914, Francia del Nord: mentre in Europa infuria la prima guerra mondiale, un manipolo di soldati tedeschi, francesi e scozzesi decide di sospendere le ostilità, superare le rispettive trincee e festeggiare insieme a suon di canti natalizi. Alle bombe si sostituiscono i botti dello champagne, alle istruzioni bellicose la messa di mezzanotte. Il tutto è orchestrato da un celebre tenore arruolato tra le file tedesche (Benno Furman) e dalla sua bella moglie Anna (Diane Kruger), alla quale i bombardamenti non scompigliano un capello. Il giorno seguente, partita di calcetto e seppellimento dei morti. Quello dopo ancora, il ritorno all'ordine imposto dagli alti ufficiali: tutto come prima. La storia è realmente accaduta (la racconta Michel Jurgs ne "La piccola pace nella grande guerra"), e poiché nessuno aveva pensato di farne un film la sua verità diventa "scomoda", "rimossa", "destabilizzante" per la storiografia ufficiale (che ebbe sì interesse a metterla a tacere, ma in Francia e sino al secondo dopoguerra; in Inghilterra ebbe qualche eco). Basta poco, in tempi come questi, per attirare le allodole e far dimenticare che la "verità" di un'opera non si misura ingenuamente nell'aderenza al dato storico ma nel rapporto che l'istanza narrante intrattiene con la complessità del materiale drammatico, "specchio che cammina su una grande strada: talvolta riflette l'azzurro dei cieli, talaltra il fango dei pantani". Ce n'è a palate, di fango, nelle trincee di Joyeux noel. Ma è finto. Non macchia. Non penetra nella pelle dei personaggi, nella loro piattezza da figurine del presepe, non intacca la monocorde riscoperta della bontà e della fratellanza con cui il regista satura ogni fotogramma. Benno Furman, troppo impegnato a cercare espressioni da grande attore per pensare anche al film, è l'emblema di questo manicheismo posticcio che vuole bene e male nettamente distinti tra soldati e potenti, trincea e salotto, in piena ideologia western. Mentre proprio lo scenario di guerra dovrebbe stillare il dubbio in qualsiasi visione assolutistica, Carion la afferma in nome di un afflato democratico totalizzante che si impone violentemente con tutto un kit di rispostine pronte, togliendo allo spettatore qualsiasi possibilità di rielaborazione personale. Evidentemente il regista non ci ritiene capaci di pensiero. A ben vedere, è il solito problema del cinema "civile" con il dito puntato e un'inguaribile fascinazione per la scena madre. Basta un confronto anche epidermico con La grande illusione o Orizzonti di gloria per smascherare l'umanesimo facilone di Joyeux noel, perfetto candidato francese all'Oscar. Trent'anni fa si sarebbe potuto definire il film fascista senza timore del ridicolo; oggi ci si accontenta di catalogarlo tra i film "monstre", di liquidarlo come un delirante incontro tra Chris Columbus e Francesco Rosi e di consegnarlo fiduciosi all'illuminato giudizio dell'Academy.

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Titolo Originale: Id.


Regia: Christian Carion


Interpreti: Diane Kruger, Benno Furmann, Gary Lewis, Dany Boon, Daniel Bruhl


Distribuzione: Sony Pictures Italia


Durata: 113'


Origine: Belgio/Francia/Germania/Romania, 2005

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