Kalak, di Isabella Eklöf

Girato in 35mm quasi completamente nelle location gelide e “aperte” della Groenlandia, è un dramma psicologico che dialoga con il paesaggio e con i volti dei personaggi. #TFF41 Concorso

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L’inizio è di quelli che rischiano. Un giovane sdraiato su un divano si sveglia con un’erezione, quando arriva un uomo più grande di lui che lo accarezza eccitato, gli si avvicina. Inizia un rapporto orale di spalle. Poi lo stacco in Groenlandia alla fine degli anni ’90, con il ragazzo, Jan, che è diventato un uomo, sposato e padre di due figli. Il padre, in cui riconosciamo l’uomo adulto della prima scena, gli scrive una la lettera dopo anni di silenzio, in cui confessa che ha il cancro. Jan è turbato e inizia una via crucis interiore che mette a repentaglio il suo equilibrio familiare, la sua vita sessuale, il rapporto con la comunità del luogo. Intesse quasi compulsivamente relazioni con le donne del posto. Forse vuole perdere la propria identità e dimenticare il passato diventando qualcos’altro, un kalak ad esempio, parola che sta per “sporco groenlandese”.

Isabella Eklöf è una svedese cresciuta in Danimarca, cosceneggiatrice di Border di Ali Abbasi e regista per M. Night Shyamalan di alcune puntate di Servant. Al suo secondo lungometraggio ha in testa un cinema solidissimo e consapevole. Girato in 35mm quasi completamente nelle location gelide e “aperte” della Groenlandia, Kalak è un dramma psicologico che dialoga con il paesaggio e con i volti dei personaggi. Eklöf trova un equilibrio ammirevole tra interno ed esterno, tra le ferite di un uomo abusato e quelle di una natura selvaggia “contaminata” dallo straniero – la Groenlandia “invasa” dalla Danimarca. Poi chiaramente il rischio della metafora esibita non è esente e così Kalak è anche, in modo dichiarato ma mai schematicamente programmatico, un film sul colonialismo e sull’impossibile espiazione del suo senso di colpa. Quindi un’opera esplicitamente politica – come Border di Abbasi, scritto, dicevamo, proprio da Eklöf – che per certi versi si riconnette anche a una tradizione cinematografica danese, contemporanea e passata. Tolto il prologo, il film è ambientato nel 1999, quindi più o meno negli anni del Dogma 95 e di Festen di Vittenberg, pietra miliare di quel manifesto  di cui Kalak è in qualche modo una sorta di ri-elaborazione, non tanto da un punto di vista formale quanto tematico (pedofilia, incesto, traumi familiari) e generazionale. Eklöf, classe 1978, non può quindi non essere cresciuta con quel riferimento cinematografico, e qui forse mette in scena un processo terapeutico di liberazione nei confronti dei genitori, dei “maestri”, forse proprio di una certa generazione che l’ha preceduta. Che siano un padre pedofilo o la Danimarca colonialista, Kalak è un film sui fantasmi del passato, sulla loro pesante eredità. E sulla loro uccisione.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.5
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Il voto dei lettori
1 (1 voto)

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