Karmalink, di Jake Wachtel

Film d’apertura della Settimana della Critica: il gioco mistico sci-fi ibridato alla treasure quest per ragazzi si fa riflessione sul transumanesimo e sulla memoria cambogiana tutta

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Jake Wachtel, musicista ed educatore californiano classe 1987, da qualche anno vive a Phnom Penh dove insegna cinema ai ragazzi dei borghi di periferia, e insieme a questi riesce a girare quello che la Settimana della Critica presenta in apertura come il primo film di fantascienza della storia della cinematografia cambogiana. Karmalink è con ogni evidenza fortemente influenzato da quella via spirituale all’approccio con la tecnologia che ha germogliato proprio dalle parti di Palo Alto, da dove proviene Wachtel: il transumanesimo dei nostri corpi al contatto con le escrescenze e gli innesti tecnologici viene combinato con i principi della meditazione e della trascendenza – se già tutto il movimento cyberpunk aveva intuito connessioni tra l’astrazione virtuale e la filosofia buddista, oggi che la realtà aumentata è integrata alle fotocamere dei nostri smartphone (e presto dei nostri occhiali) Il futuro davvero è già qui, solo non è stato ancora equamente distribuito, come scriveva appunto William Gibson.
E infatti nel mondo futuribile di Karmalink ci si divide tra chi ha la possibilità di essere “aumentato” con l’innesto di un letterale terzo occhio computerizzato, e chi invece si barcamena negli slums riciclando chip e parti meccaniche recuperate tra i rifiuti (un’allegoria scoperta del presente in cui i componenti elettronici dei nostri costosi dispositivi vengono spesso assemblati proprio da giovanissimi operai nelle zone “disagiate” del pianeta). I nostri eroi pre-adolescenti sono alla ricerca di una statuetta dorata del Buddha che il piccolo protagonista continua a vedere ossessivamente nei sogni in cui rivisita le sue vite precedenti (o future?), ma si tratta solo di un tassello di un ipertesto, è il caso di dirlo, molto più vasto (e un po’ confuso), che coinvolge i piani dell’immancabile tecnosciamano visionario intento a costruire una intelligenza artificiale in grado di allineare tra di loro le memorie di tutte le esistenze che abbiamo già vissuto.

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Più che wachowskiano (Sense8 più di Matrix), il fascinoso impianto potrebbe far tornare alla mente il mood della seconda stagione di The OA, che ad oggi è ancora il trattato più imprescindibile sul tema: Wachtel la tira forse un po’ per le lunghe e probabilmente non sa bene come traghettare tutti gli stimoli che disperde tra le maglie della struttura – e però le varie sezioni oniriche hanno un bel retrogusto d’avventura videoludica, c’è una genuina passione nell’omaggiare il canone della treasure quest per ragazzi, e tra una cosa e l’altra Karmalink riesce a farsi atto di rievocazione storica del passato della Cambogia stessa (dalla colonizzazione francese alla violenza dei khmer rossi: la nonna del protagonista è una figura tutt’altro che secondaria) e ritratto riuscito dello sfilacciamento urbanistico a cui vanno incontro inesorabilmente metropoli come Phnom Penh, in cui il progresso dei grattacieli sullo sfondo invade pian piano i quartieri ai confini della mappa, inglobando le comunità e “rilocandole” ai margini del futuro.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.3
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Il voto dei lettori
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