Kate Winslet. Storia di una metamorfosi

Fresca vincitrice del Globe per Steve Jobs, Kate Winslet festeggia i suoi quarant’anni, vantando una corposa filmografia (circa 30 titoli in vent’anni di carriera), nonché una serie di record.

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Britannica, figlia d’arte, Kate Winslet festeggia quest’anno i suoi quarant’anni, vantando una corposa filmografia (circa 30 titoli in vent’anni di carriera), nonché una serie di record, quanto al consistente numero di nomination e premi già conseguiti, rispetto ai suoi colleghi coetanei. Da ultimo, il Golden Globe 2016, come miglior attrice non protagonista nello Steve Jobs di Danny Boyle, in cui veste i panni di Joanna Hoffman, membro del team Macintosh, spianando così, come da buon auspicio, la strada verso i prossimi Oscar. Nella stessa serata dei Golden Globe, la stampa ha immortalato, come evento nell’evento, l’abbraccio tra la Winslet e il suo grande amico Leonardo Di Caprio, a rinvigorire, l’eternità dell’immaginario cinematografico, che li lega indissolubilmente. Cosa da cui in effetti è pressoché impossibile prescindere, nel tentativo di tracciare una sorta di “mappatura selezionata” delle più celebri e apprezzate prove attoriali della Winslet, potendo argomentare come sin dagli inizi della sua precoce carriera ad oggi, abbia saputo ben restituire le variegate sfaccettature di una drammaturgia femminile sofferta e ribelle, in perenne contrasto con l’ipocrisia dei tempi, qualsiasi essi fossero, avendo spesso privilegiato opere in costume.

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L’esordio cinematografico risale al 1994, a soli 17 anni, nel film Creature del cielo di Peter Jackson, che la scelse per il ruolo di Juliet, adolescente troppo complessa(ta) ed esuberante per la rigida società degli anni ’50. Il film, ricevette il Leone d’argento, rivelando, non solo l’audacia interpretativa della Winslet, ma col senno di poi persino una certa pre-visione di quella performance che le varrà l’Oscar, una trama in cui la letteratura fantasticata si accompagna a scabrosi bagni con amanti proibiti.

L’anno successivo Ragione e Sentimento di Ang Lee, segna il primo di una galleria di personaggi letterari trasposti su grande schermo (seguirà subito dopo Hamlet di Kenneth Branagh). La rossa Marian di Jane Austin è per la Winslet l’archetipo dell’eroina romantica, innocente sacrificata dall’amore sull’altare delle convenzioni e convenienze sociali. Marian segnerà anche un topos incidentale nella filmografia della Winslet, ovvero l’amore rivelato sotto le intemperie (acquazzoni e distese di ghiaccio) sorta di drammatizzazione dello spazio, che troverà il suo apice nell’iceberg di “Titanic”, ma che incorrerà ancora nel rigido inverno psicologico di Se mi lasci ti cancello.

Kate Winslet in Titanic (James Cameron, 1997)

Kate Winslet in Titanic (James Cameron, 1997)

È dunque il 1997, l’anno della consacrazione. Kate Winslet è la Rose del pluripremiato colossal di Cameron, la giovane aristocratica, combattiva e sopravvissuta all’onnipotenza dell’uomo e della natura. Volto candido, eppure temerario nel posare nuda, libera dalla morsa degli abiti-abitudini dell’alta società, la prima apparizione di Rose è l’illustrazione a carboncino, in cui è ritratta sul sofà con indosso solo un preziosissimo diamante. La regia dona alla Winslet più di una scena madre, che ne valorizzi l’ardore, mentre la sceneggiatura le farà affermare che il cuore di una donna è un profondo oceano di segreti”, profezia di tanti silenzi femminili cui darà voce.

Dopo lo straordinario successo di Titanic nel 2003 l’attrice è co-protagonista  del cult Se mi lasci ti cancello di Michel Gondry. È qui che la Winslet si misura con un personaggio fuori da quelle corde, fino ad ora collaudate, per cimentarsi col surreale, in cui i trucchi scenici, più che gli effetti speciali digitali, dominano a partire proprio dal suo aspetto. Con Clementine, Kate Winslet celebra il trasformismo di personalità suggellato dal mutevole colore dei capelli. I biondi rossicci e i rossi lasciano il posto ad una varietà di eccentriche tinture per capelli a simboleggiare la leggerezza, la volubilità e quindi l’impulsività e la fragilità di Clementine e a scandirne colore dopo colore, dallo “Sfacelo Azzurro” di incipit ed epilogo all’arancione- mandarino del post “Trattamento Lacuna”, la temporalità della ricognizione narrativa, che il montaggio di Gondry programmaticamente mescola.

La disillusione diventa vera e propria tragedia nel realismo socio-patologico di Revolutionary Road (2008), in cui la prova della Winslet si fa adulta in tutti i sensi, non più una giovane donna in fuga, ma moglie e madre depressa nella stereotipata N.Y. del dopo guerra.

Per l’occasione torna a far coppia con Di Caprio, volto di Frank, marito debole, egoista, conformista, eppur non di meno amato.  Le esigenze di scena impongono alla Winslet un volto più scarno e pallido e l’evidenza di prime rughe d’espressione, una silhouette meno formosa per i tubini dai colori neutri, sino a virare nel bianco e nero di una istantanea che la ritrae sorridente, ormai mero ricordo di una parentesi felice irrimediabilmente chiusa. Anche April e Frank cercano la forza e il coraggio di saltare nel vuoto, o meglio di saltare quel “vuoto disperato” che si profila nel loro immobile futuro, ma in questo caso non ci sarà alcun “salti tu, salto io” alla Jack Dowson, perché Frank non è un compagno di volo, ma una zavorra. Così April, consapevole zombi, provvede all’unica libertà che le resta, il suicidio.

Kate Winslet in The Reader (Stephen Daldry, 2008)

Kate Winslet in The Reader di Stephen Daldry, Academy Award nel 2008

Epilogo di morte che condivide con l’Hanna Schmitz da Oscar, interpretata subito dopo nel The Reader di Stephen Daldry.

Il grado di conflittualità richiesto da Hanna, non ha pari nella carriera dell’attrice. Il viso si fa spigoloso a dispetto delle fattezze morbide che la caratterizzano e il suo biondo si smorza in cenere, la profondità degli occhi scura e smarrita, come se Kate Winslet per il ruolo di una sorvegliante di un campo nazista avesse fagocitato tutto il vuoto esistenziale dei ruoli passati. Lo sguardo di Hanna sarà sempre impenetrabile e la mimica facciale esigua, pietrificata e dal colorito persino grigiastro nelle ricostruzioni processuali, ad eccezione di un raro pianto quasi incomprensibile, nella prima parte della storia, dedicata alla relazione col giovanissimo Michael. The Reader copre un arco di tempo di quasi 40 anni, durante il quale i protagonisti certo cambiano d’aspetto, maturando però ciascuno una propria involuzione interiore. E se Michael sarà interpretato da attori di differenti età, Kate Winslet manterrà sempre su di sé il peso della vergogna e dalla colpa, sotto i lineamenti fittizi della vecchiaia in carcere. Kate Winslet merita l’Oscar per aver saputo ben rappresentare la cecità, che rendeva Hanna spiritualmente analfabeta. La cronaca hollywoodiana riporta che, se non fosse per il rigido regolamento di assegnazione di nomination agli Oscar, per la prima volta nella storia, una formidabile interprete avrebbe concorso con due ruoli magistrali nella stessa categoria di miglior attrice protagonista, per Revolutionary Road e per The Reader, segnando un eccezionale record, oltre quelli già all’attivo.

 

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