Keep Me Company, di Gonçalo Almeida

Il film portoghese in concorso al Fantafestival racconta di un weekend, di due donne, di una realtà sempre sul punto di finire dentro un sogno e di un sogno rimasto imprigionato nella realtà

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Connessioni e disconnessioni, arrivi e partenze, sogno e realtà e presenze ectoplasmatiche, distorsioni temporali. Il primo lungometraggio di Gonçalo Almeida sembra galleggiare in una bolla, sospeso tra la verità e l’inganno, con il forte sospetto l’immagine non sia altro se non l’emanazione di un sogno lucido, il sogno svelato di una delle protagoniste della storia minimale, due amanti, una casa preso in affitto per il weekend e rumori inquietanti a disturbare l’ idillio perfetto. Silvia è una donna affermata in attesa di un bambino, mentre la giovane amante Clara è impegnata a diventare un’attrice, e questo appuntamento servirà probabilmente per loro da banco di prova. L’impressione è quella di assistere ad un incubo uterino nato insieme alla gravidanza di Silvia, ormai in procinto di partorire, e cresciuto nel liquido amniotico parimenti all’attesa di un cambiamento radicale. Non a caso il nucleo del trauma porta riferimento ad una piscina, deposito insospettabile di forze occulte, dove l’ansia trova terreno fertile e cresce per contrasto all’aspetto rassicurante.

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Di fatto l’atmosfera si trasforma immediatamente in qualcosa di oscuro e minaccioso, e l’insieme degli elementi in un’arma puntata addosso pronta a sparare, e rompere finalmente la trepidante sonorità ambient, tarata sopra una frequenza di note suonate sul ciglio di un burrone, sempre al punto di esplodere in un festival del sangue dentro vene mosse dal fremito. Ma l’angoscia si nutre anche di silenzio, di spettri danzanti nell’acqua con animo inquieto e voce ultraterrena. Distinguere il sonno dalla veglia con il passare dei minuti è difficile oltre che inutile, l’idea mette in discussione i parametri del plausibile dentro un eterno miraggio, e la verosimiglianza viene usata come sinonimo di allucinazione.

Su un altro piano, o semplicemente cambiando angolo visuale, il film parla di un tradimento e di una relazione finita sulla soglia di una svolta, ed il momento della scelta tra uccidere il presente o ipotizzare un futuro, il crocevia di un amore condannato come solito ad una inafferrabile e bellissima inconsistenza, mentre le parole quasi si materializzano dentro una crisi con i connotati di un risveglio, cristallizando l’attimo di un dialogo vanesio ed etereo. Invece di un innocuo passaggio o una brusca rottura, la sensazione è quella di assistere ad una mutazione, soprattutto Clara, prototipo di un turbamento iscritto nello status di crescita, è soggetta ad una progressiva disgregazione, e la contaminazione di generi aggiunge dopo horror e fantasy un finale degno di un thriller. Il sospetto di un crimine si agita attonito alle prime luci dell’alba, resta piantato il seme del dubbio e la memoria infettata da un ricordo evanescente, dalle ombre della notte, dalle paure ordinarie e straordinarie in vista di una novità desiderata ma costretta a rimanere un’incognita.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2.7

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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