Kennedy, di Anurag Kashyap

Un noir caricaturale privo di pathos, poco aiutato dalla buona interpretazione della protagonista dove l’estetica patinata degli interni ed i dialoghi sono da fotoromanzo sudamericano. Fuori Concorso.

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Kennedy è un assassino efferato che si muove nelle zone di ombra, forza invisibile della polizia di Mumbai. Ufficialmente morto, si occupa di liberarsi di eventuali nemici su indicazioni del suo capo Khan, un ufficiale a capo del distretto, corrotto insieme a buona parte degli agenti del suo gruppo. Ha una moglie ed una figlia, figure importantissime della sua vita prima dell’anonimato, ed un acerrimo nemico che un tempo era uno stretto alleato. Come copertura fa il taxista di Uber, spostandosi nella notte tra i club, che rappresentano una fetta importante degli introiti dell’estorsione. Ma con i locali ridotti al 30% dell’effettiva capienza anche i guadagni delle associazioni criminali sono diminuite, quindi serpeggia il malcontento.

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La storia copre un intervallo di cinque giorni, quelli che separano questo antieroe ad una possibile redenzione e dalla resa dei conti con i fantasmi del passato. Scorrono sulle note distribuite abbastanza alla rinfusa della Orchestra Filarmonica di Vienna mentre lo sguardo del regista segue i passi del protagonista e attraverso i gesti del killer ci fa capire una inquietante verità, cioè il piacere di Kennedy ad uccidere. Anurag Kashyap giunto al ventesimo lungometraggio si conferma come un veterano del crime drama, dalla riuscita e la fortuna altalenanti. In questo ultimo film il pollice va puntato verso il basso. L’indubbio fascino delle atmosfere, i tradimenti e le vertigini del sangue, la donna fatale da cartolina (nonostante l’interpretazione di Sunny Leone, ex star dell’industria pornografica ed ora attrice e regista di successo), non bastano da soli ad assicurare una buona riuscita e l’amalgama a volte può risultare indigesto, soprattutto se si sceglie di utilizzare la musica e gli effetti sonori in maniera controintuitiva. L’estetica patinata degli interni ed i dialoghi sono da fotoromanzo sudamericano mentre l’idea di riscatto suona poco credibile. Non va meglio nel processo di svelamento, con i fili nascosti eppure visibili in una trama probabilmente scritta con fin troppa precisione sui parametri di un manuale di sceneggiatura.

 

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
1.8
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Il voto dei lettori
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