Khumba. Cercasi striscie disperatamente, di Anthony Silverston

Khumba possiede dunque i meriti e i demeriti, le precisioni e gli eccessi, di un percorso ancora gli inizi, in evoluzione, del team e lo studios che stanno dietro, i Triggerfish Studios, sudafricani di stanza a Città del Capo, sudafricani per organico e, soprattutto, sudafricani per senso e direzione delle storie

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In un’oasi protetta da una barriera naturale fatta di rovi, viene alla luce un nuovo membro del branco di zebre che lì ha dimora e rifugio: è Khumba, figlio di Seko, uno dei capi del gruppo, e di Lungisa, tenera e fragile madre che decide di proteggerlo dandogli quel nome che significa “pelle”. Perché Khumba ha un qualcosa di diverso, e si riversa e riflette proprio nella specificità naturale delle zebre, le strisce bianche e nere di cui il nostro è dotato solo per metà. Freak e totem rivoltato assieme, Khumba viene accusato della serie di luttuosi eventi che investono il branco, dalla siccità sempre più senza scampo alla morte della cagionevole madre. Quando una mistica mantide gli disegna sulla sabbia la mappa per una fonte leggendaria dove, secondo la leggenda, Khumba potrà immergersi e riemergere con le sue strisce mancanti sulla pelle, la giovane zebra capisce che è il momento di affrontare il deserto del Grande Karoo, l’outcast che sta oltre l’oasi protetta e dove incontrerà amici, nemici, fallimenti, gloria e destino…

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Opera prima e opera seconda assieme, Khumba è l’esordio alla regia di Anthony Silverston e il secondo atto dei Triggerfish Animation Studios, casa di produzione dalla recente nascita che ha già portato sugli schermi Zambezia, di cui Silverston è stato sia sceneggiatore che produttore. Di più, l’adesso regista è il vero deus ex machina della Triggerfish, che dal suo approdo come creative director è passata dall’essere un studio che lavorava soltanto a piccoli progetti in stop-motion, all’aver raccolto trenta milioni di dollari in giro per il mondo con Zambezia e il progetto nell’immediato di far uscire altri due lavori, gli ipotetici Here Be Monsters e Seal Team.

Khumba possiede dunque i meriti e i demeriti, le precisioni e gli eccessi, di un percorso ancora gli inizi, in evoluzione, del team e lo studios che stanno dietro. Rispetto alla precedente pellicola, tutta incentrata su un uso spettacolare e impattante del mezzo animato, qui gli autori sembrano fare un passo a lato e provare a realizzare una CGI di scrittura, incentrata in massima parte sul lavorìo dei personaggi, delle loro interazioni, con momenti di stacco e calma che vanno oltre le mere pause tra una corsa e l’altra, per diventare il nucleo di questo lavoro. Un lavoro che è fortemente identitario, quello dei Triggerfish Studios, e che precede a cascata dalla loro particolare posizione geografica per poi traslarsi nel tessuto stesso dell’animazione digitale: sudafricani di stanza a Città del Capo, sudafricani per organico e, soprattutto, sudafricani per senso e direzione delle storie, come ampiamente dimostrano i due Zambezia e Khumba, con il loro tentare di costruire una comunità la più aperta e matura possibile, dove animali delle razze più disparate possano convivere assieme per sopravvivere a quello che sta attorno, un territorio si ammaliante e sublime, ma spesso mortale nelle sue ferree leggi naturali.

 

 

Titolo originale: Khumba

Regia di: Anthony Silverston

Voci: Jake T. Austin, Liam Neeson, Steve Buscemi, AnnaSophia Robb, Laurence Fishburne, Greg Ellis, Richard E. Grant, Catherine Tate

Origine: Sud Africa  2013

Distribuzione Eagle Pictures

Durata: 85'

 

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