"King Lear" e l'orizzonte del tardo Godard

Presentato al Romaeuropa Festival uno dei Godard meno noti degli anni '80, mai distribuito nelle sale: “King Lear”, realizzato dal regista nel 1987.

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Ha un'origine singolare il Lear di Godard. A Cannes, nel 1985, su un tovagliolo (così si racconta), il regista firma un accordo con Menahem Golam e Yoram Globus della Cannon Films, casa di produzione specializzata nella realizzazione di film commerciali. Quello di Godard è uno dei grandi nomi (con John Cassavetes, Andrej Konèalovskij, Robert Altman, Raoul Ruiz ed altri) cui Golam e Globus fanno ricorso, in quegli anni, per consegnare alla propria azienda il marchio di un'altisonante nobilitazione. Ma Godard farà di tutto per scontentare i suoi finanziatori. Tenendo fede a quell'idea di cinema domestica e familiare che da anni segna il suo lavoro, girerà il film in Svizzera, ma dovrà misurarsi con numerose complicazioni. Norman Mailer avrebbe dovuto scrivere un "ammodernamento" del testo shakespeariano, lavorare alla sceneggiatura e, accompagnato dalle figlie, interpretare lui stesso il ruolo di Lear. Un'unica giornata di riprese, tuttavia, pone fine alla collaborazione tra il cineasta e lo scrittore. Di Mailer (e di sua figlia, "giovane donna di provincia") non resta nel film che la sola sequenza d'apertura, nella camera d'albergo, che Godard monta due volte (o, più precisamente, monta in rima con un'altra versione della sequenza, pressoché identica). I nomi più disparati (tra gli altri Sting, Tony Curtis, Rod Steiger) ruotano, in maniera diversa, attorno al film, per poi restarne fuori. Il giovane Peter Sellars ottiene infine il ruolo di William Shakespeare jr. V, Burgess Meredith diviene il boss mafioso Don Lear, Molly Ringwald (che allora si affermava in alcuni serial televisivi) sua figlia Cordelia. Poi, tra i folletti, Leos Carax e Juile Delpy, mentre Woody Allen è il montatore (Alien) che cuce pezzi di pellicola (con l'intenzione di portare Allen in Svizzera perché recitasse nel suo Lear, Godard aveva realizzato un non-dialogo/intervista con il cineasta americano, Meeting Woody Allen, 1986, un video di 26 minuti). King Lear viene mostrato a Cannes nel 1987, in una copia-lavoro. Golam e Globus si dichiarano del tutto insoddisfatti. Il film, in ogni caso, resta bloccato in pastoie giuridiche e non viene mai distribuito nelle sale (in italiano esiste una copia in VHS, con alcuni tagli rispetto all'originale). La Cannon fallisce poco tempo dopo.

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Più che nel radicale, implacabile lavoro di riscrittura e trasformazione originato all'incontro con il testo preesistente (del resto tutto il cinema di Godard si può intendere anche come un inaudito lavoro di radicale riscrittura e trasformazione di testi preesistenti, degli innumerevoli testi, di ogni sorta e spessore, di cui da sempre, costitutivamente, si nutre), King Lear, può essere compreso nell'orizzonte dell'ampia, multiplanare ricerca avviata da Godard agli albori degli anni '80. Singola tessera di un più complesso mosaico, porta in sé i segni individuanti di una vasta vertigine speculativa – cui qui si può solo accennare – che attraversa tutta la produzione tarda del grande cineasta: la coscienza della definitiva deriva della società occidentale, dell'impotenza (auto)rappresentativa delle società moderne, del disfacimento dei valori dell'umanesimo (l'apocalittico post-Chernobyl di questo Lear in cui tutto è scomparso, poi ricomparso, ad eccezione dei film e delle arti in genere); la memoria (del cinema, della bellezza, …) come luogo residuale di resistenza, di una pur disperata opposizione alla deriva ed all'oblio in cui tutto ricade (il discendente cercatore che tenta di ricomporre le opere perdute del suo grande antenato ed i folletti, "segreti sentieri della memoria"); la riflessione relativa alla nozione di immagine, all'originarietà dell'immagine, alla sua consistenza etica ed estetica ed infine alla possibilità di una sua autentica resurrezione (la (re)invenzione del cinema ad opera del "sopravvissuto" Pluggy e la frase di S. Paolo, ricorrente in questi anni); l'assimilazione tra arte e fuoco (come il fuoco, l'arte si origina da ciò che distrugge), secondo una suggestione dovuta a Malraux, già rintracciabile in Scénario du film "Passion" (1982); la presenza autenticamente costruttiva della pittura, consueto interlocutore dell'inquadratura e, più in generale, del film godardiano (qui, tra gli altri, Giotto, Goya, Renoir,…), oltreché, naturalmente, della scrittura (i cartelli, ricorrenze dominanti nel cinema del regista e l'atto stesso dello scrivere che è qui ad un tempo un comporre ed un recuperare), ecc. Ad uno sguardo ancor più ravvicinato – ed attento ad alcune insistite ricorrenze tematiche ed espressive – si dovrà inoltre notare (lo hanno fatto, ad esempio, S. Liandrat-Guigues e J.-L. Leutrat) come più propriamente King Lear mostri la sua diretta, specifica coappartenenza al gruppo di opere realizzate da Godard tra il 1987 e la metà degli anni '90.Film materico e minerale, King Lear inscrive in ogni caso la propria densità in un'identità dichiaratamente parziale e problematica, si definisce, come tanti film del regista, nel proprio farsi, esibisce infine apertamente gli strati del proprio comporre e nodi intrecci circuiti del proprio stratificato ragionare.

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