Kufid, di Elia Mouatamid

Presentato al 38° Festival di Torino, quello che doveva essere un documentario sulla gentrificazione si trasforma in un personalissimo videodiario a causa del Covid

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Elia Mouatamid, dopo Talien, torna nella natale Fes, città medioevale del Marocco, per girare un documentario sui fenomeni urbanistici che la coinvolgono. La città è in piena gentrificazione, ossia il processo tramite cui quartieri storici vengono abbattuti, nel nome di norma sanitarie, storiche o economiche, per poi essere ricostruiti. La “rivalutazione” di questi quartieri di fatto li svuota della loro linfa vitale, obbligando spesso i residenti storici a trasferirsi in altre zone. Mouatamid ha già raccolto del materiale, quando irrompe nel mondo il Covid, o Kufid, come lo chiama il regista che ci si rivolge come fosse davanti a una persona.

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Mouatamid viene così costretto all’isolamento nella sua casa vicino Brescia e quello che doveva essere un documentario sul pericolo che fisicamente colpisce lo spazio privato, diventa un diario autobiografico e intimo sul collasso immaginario. In un momento in cui il corpo è immobilizzato è la parola a recuperare l’innata irrequietezza dell’uomo, instaurando un monologo intimo e brillante, velato di un’ironia che non è sempre facile da cogliere. La voce narrante del regista è ciò che lega i diversi materiali di cui è composto Kufid in un amalgama personalissimo, nel quale si mescolano immagini di cronaca, video dal web e sequenze dallo stampo cinematografico girate ad hoc.

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“Il fascino del vecchio funziona solo a debita distanza
”, ci dice Mouatamid mentre osserva una cascina abbandonata nelle campagne bresciane. Eppure, quello che viene mostrato come un mondo cadente è quello che lo ha cresciuto, che lo ha “allevato” ed è impossibile non cogliere una nota di nostalgia. Il regista non ha alcuna paura di toccare il paradosso, lascia che il discorso cada anche nella contraddizione, recuperando mentalmente quel movimento fisicamente bloccato dalla pandemia. Il suo flusso di pensiero, intrappolato nella bolla del privato, si ripiega su sé stesso, a volte scivolando nell’ermetismo di commenti e idee che sembrano pienamente accessibili solo al suo autore.

Nonostante ciò, Kufid riesce nel suo intento di trasmettere soprattutto lo stato emotivo del suo autore. Il bombardamento di opinioni, di giudizi dei Mouatamid nella prima parte del documentario sono fondamentali per imporre allo spettatore una sorta di sospensione del giudizio: il regista ci chiede di stare a sentire le oscillazioni delle sue emozioni, la superiorità e il sicuro sarcasmo del primo momento, quando vede il virus come uno spauracchio, per poi scivolare nel timore e nell’angoscia quando costringe il fratello al ricovero. Come se a volte, per capire davvero il mondo attorno a noi, dovessimo per un attimo rinunciarvi. Abbracciare il vuoto per avere più presa sul pieno.

Regia: Elia Mouatamid
Distribuzione: Cineclub Internazionale Distribuzione
Durata: 57′
Origine: Italia, 2020

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
5 (1 voto)
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