"Kung Fu Panda 2", di Jennifer Yuh


Kung Fu Panda 2
conferma come la Dreamworks sia alla ricerca di un nuovo brand, dopo aver esplorato tutte le risorse possibili di Shrek. Questa volta, è Pu a subire il trattamento tipico della costruzione del personaggio: le sue nuove avventure sono piente di dettagli che aprono la strada ad eventuali sequel. Purtroppo, non ne arricchiscono la personalità e indeboliscono la vitalità di Jack Black. Lo sforzo spettacolare è notevole, ma è come se lo studio avesse ormai perso la sua imprevedibilità iniziale

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E se la Dreamworks avesse perso quello che Pu cerca per tutto il film? Se non riuscisse più a trovare il suo equilibrio? Dopo una lunga serie di successi, il 2011 è stato un anno difficile: ha dovuto accettare il fallimento natalizio di Megamind, ha subito il rapido declino commerciale del 3D e ha giocato in difesa, nel tentativo di respingere gli attacchi di rivali sempre più combattivi come Rio della Fox e Cattivissimo me della Universal. Forse, è stato proprio il timore di perdere il monopolio ad aver provocato le sue recenti incertezze e quelle della Pixar, che da parte sua ha clamorosamente bucato l'estate con Cars 2. Le ansie sono giustificate, anche perchè Steven Spielberg e Jerry Katzenberg hanno bisogno di un nuovo brand, dopo aver consumato tutte le possibili risorse di Shrek: inevitabilmente, tutte queste pressioni hanno condizionato la produzione di Kung Fu Panda 2. Pu è tornato sul grande schermo e ha dovuto sostenere non solo con il pesante fardello di salvare la tradizione delle arti marziali, ma anche con quello di aprire un nuovo orizzonte commerciale per la Dreamworks. L'eroe è meno simpatico rispetto al passato ed è chiaro come Jack Black abbia dovuto contenere le sue improvvisazioni entro i limiti della commedia per famiglie, fino al punto di sparire dentro alla rigidità dello schema. In questo modo, Kung Fu Panda 2 tradisce una delle più grandi innovazioni dello studio: quella di aver costruito i propri personaggi sull'attore, piuttosto che affidarsi alla soluzione/tradizione contraria. Il nuovo film della Dreamworks è un film tradizionale: ha un intreccio narrativo semplice, uno sviluppo degli eventi molto lineare e sfoggia cattivi da manuale come il perfido pavone Lord Shen. Rispetto al precedente Megamind, il passaggio alla normalità è troppo brusco: da un eccesso di sfumature e di ribaltamenti ad una visione troppo manichea del bene e del male. L'idea brillante di usare il corpo

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goffo e impacciato di Pu come un'arma resta solo come un'impronta del primo capitolo e il suo eroismo è meno involontario di quanto fosse nella sua prima avventura. Il film si impegna a costruire il suo carattere e a puntellarne il passato con dei dettagli pronti ad essere riscattati in eventuali sequel: il panda deve affrontare le proprie ferite e deve passare attraverso delle crisi di identità che però non ne arricchiscono la complessità. Infatti, il percorso non è mai allusivo come capita con la Pixar, in cui una sola immagine può essere tanto densa da scatenare delle voragini emotive. Più che all'intermittenza del cuore, la Dreamworks punta a definire una genealogia che possa reggere l'ipotesi di un terzo capitolo. Kung Fu Panda 2 perde il treno del mito e aggancia quello di un intrattenimento efficace proprio perchè costruito con (troppo) mestiere: la cura sapiente del racconto viene arricchita da un efficace sforzo spettacolare, che resta intatto anche nella semplice versione a due dimensioni e rende onore ai wuxia. Tuttavia, resta un film troppo esemplare per spalancare qualche finestra affettiva: non ci sarebbe niente di male, se la Dreamworks non ci avesse abituato a variare e ad aggiornare le abitudini, piuttosto che ad assecondarle. Sembra come se avesse smarrito la sua imprevedibilità iniziale…

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Titolo originale: Kung Fu Panda: The Kaboom of Doom
Regia: Jennifer Yuh

Interpreti (Voci): Jack Black, Angelina Jolie, Seth Rogen, Gary Oldman, Jackie Chan, Jean-Claude Van Damme, Dustin Hoffman, Lucy Liu

Origine: USA 2011

Distribuzione: Universal Pictures

Durata: 89'

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