"Kyashan" di Kazuaki Kiriya

Da una serie di successo un calderone di mitologia androide e new age: la fantascienza proposta dal film è pura apparenza che nell'enunciazione del decalogo digitale alla massima potenza cede ad aspirazioni eccessive.

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Tratto da una serie anime di Yoshida Tatsuo, celebre negli anni '70 e conosciuta come Kyashan – Il ragazzo androide (Shinzo Ningen Casshern), Kyashan – La rinascita, in originale semplicemente Casshern, passato anche per l'ultimo Torino Film Festival, è l'esordio di Kiriya Kazuaki, novellino dall'importante curriculum video-clipparo cui viene affidato un progetto mass-mediatico di grande risonanza. A partire da un budget medio, pari a sei milioni di dollari americani, splamati in due mesi di lavorazione, che permette massicci innesti di computer grafica, con il chiaro intento di sfondare al box office prima ancora che di conquistare la critica. Missione compiuta, verrebbe da dire, anche se solo in parte. Gli incassi giustificano infatti un'eco internazionale che va oltre i reali meriti di un'opera talmente ambiziosa da implodere sulle proprie stesse smanie di grandeur.

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Il look fanta-rétro, che tanto va di moda oggi sia in oriente (Avalon di Oshii Mamoru, che ne ha anticipato lo stile video-ludico-finto-dipinto-evidentemente-contraffatto) che in occidente (Sky Captain and the World of Tomorrow di Kerry Conran) alla lunga sa di stantìo e scolora nella tecnologia kitsch asservita ad una trama decisamente poco lucida per reggere i 141 minuti totali. Ne deriva un'epopea liturgica, a tratti sontuosa ma spesso semplicemente inaridita, incapace di trasmettere quelle emozioni – se si vuole escludere una certa noia latente – di cui a partire dal trailer magniloquente si fa garante e portatore. Kyashan – La rinascita è soprattutto un kolossal ruffiano, grazie al quale un talentuoso videomaker può mettere in luce la propria innegabile tecnica. Ma come il cibo artificiale la pellicola nasconde dietro l'apparenza, mera facciata che ingolosisce al pari appassionati d'arte cinematografica orientale, cultori dell'animazione nipponica e compilatori a caccia di (oc)cult(i) capolavori da incensare, poca sostanza.


Kiriya ha l'ardore di rischiare il tracollo, economico e d'immagine, con scelte estetiche neo-barocche sì coraggiose ma anche inutili. Rinuncia – giustamente – alle scene d'azione, e privilegia i rapporti interpersonali tra i personaggi. Ciò nonostante questi non sfuggono alla sindrome delle marionette: volano, si schiantano e rimbalzano per lo schermo come fossero di gomma, ma purtroppo mancano d'anima. Si palesa soprattutto, in tutta la sua evidenza scenografica, una considerazione maniacale per il dettaglio e tante scelte che a partire dalla fotografia e dalla colonna sonora gothic / new wave, curata dalla moglie del regista, la famosa idol Utada Hikaru, personalizzano l'opera, rielaborando fuori dagli schemi consueti i topoi dei film di robot fitti di scontri rocamboleschi tra super-eroi e geni del male.


Il misticismo del cyber-manga che si fa carne è il verbo dominante: cristologico sin dalla sua apertura, Kyashan – La rinascita non conosce confini e si espande di minuto in minuto, come se l'infinito potesse essere superato. Kiriya è presuntuoso nell'approcciarsi ad una materia tanto complicata con fare sostanzialmente semplicista e, a coprirne le magagne, con l'aura del santone che sa già, in partenza, che non accetterà prigionieri, ma solo vittime o alleati su cui trionfare con il proprio ego. Nel bianco e nero, netto e vitreo, che a volte prende addirittura fisicamente il sopravvento, non c'è spazio per i ripensamenti, per gli eroi di un tempo, per i finali semplici. Piuttosto è l'apice utopico di un cinema così impegnativo, ovverosia spossante, da non prevedere mezze misure: solo sostenitori entusiasti o disillusi scontenti.

Titolo Originale: Casshern


Regia: Kazuaki Kirya


Interpreti: Yusuke Iseya, Kumiko Aso, Akira Terao, Kanako Higuchi


Distribuzione: T:Me Code


Durata: 141'


Origine: Giappone, 2004

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