La bambola assassina, di Lars Klevberg

Il terrore corre sulla rete, nelle connessioni wi-fi che creano nuovi cortocircuiti memori dei robot di Crichton. Niente di originale, ma questo remake del capostipite del 1988 è dignitoso

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Dallo spirito di un serial killer di Chicago alla vendetta di un dipendente appena licenziato in Vietnam che modifica il software di una bambola togliendogli ogni controllo. Il capostipite del 1988 diretto da Tom Holland che poi ha dato vita a sei sequel viene riaggiornato dal norvegese Lars Klevberg (regista dell’horror Polaroid, recentemente uscito nelle nostre sale) soprattutto come una delle possibile paure futuriste, quello della ribellione delle macchine. Oltre Asimov, oltre Il mondo dei robot di Michael Crichton, forse vero punto di riferimento di questo remake. Per il modo in cui un presunto guasto scatena una serie di omicidi. Ma soprattutto qui il terrore può arrivare dalla rete. Cortocircuiti impazziti in cui un auto a noleggio con autista automatico diventa un altro oggetto letale manovrato dall’assassino.

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Non c’è più la mano del creatore Don Mancini. E non si chiama più Chucky ma Buddi. Che la la voce di Mark Hamill Ma è come la sua reincarnazione. Oppure la sua resurrezione sotto un’altra identità. Che viene regalata da una mamma single, Karen (Aubrey Plaza) al figlio adolescente Andy (Gabriel Bateman), un adolescente introverso che non riesce a legare con i propri coetanei. Inoltre ha un rapporto conflittuale con il nuovo compagno della donna. Buddi diventa così il suo nuovo amico. Ma il modello è difettoso; era stato infatti restituito da un cliente nel grande negozio dove lavora Karen. Col tempo Buddi crea sempre maggiori problemi; è sempre più aggressivo e fa fuori anche il gatto. Ma siamo solo all’inizio.

Una buona partenza con dei tuoni minacciosi – quasi come in una trasposizione Marvel nei luoghi dei nemici – all’esterno della fabbrica in Vietnam della Kaplan, la casa che costruisce i modelli della bambola e uno scatenato finale, quasi alla Refn. Non si sa se sia un merito o un limite. Per il resto La bambola assassina segue diligentemente le regole del genere. Soffermandosi su dettagli rivelatori (il gatto che graffia) e voci dal profondo che diventano un tormentone (“È ora di giocare”). Dalla Polaroid dell’altro film alle soggettive di Buddi. Che scatena i suoi impulsi di morte quando gli occhi gli diventano da celesti a rossi. Ma che non si vede quasi mai in azione. Esempio di un remake lineare che comunque ha delle intuizioni interessanti. Anche se non sa sempre tenere al massimo il livello della tensione. L’omaggio di Klevberg a un certo tipo di horror e anche al suo riaggiornamento – da Brivido di Stephen King anche alla saga di Saw soprattutto per il modo in cui viene costruita la meccanica degli omicidi, passando anche dalla citazione diretta di Non aprite quella porta – Parte 2 (1986) che è il film visto in tv da Andy e i suoi due amici – è comunque dignitoso.

 

Titolo originale: Child’s Play
Regia: Lars Klevberg
Interpreti: Aubrey Plaza, Gabriel Bateman, Brian Tyree Henry, Ty Consiglio, Beatrice Kitsos
Distribuzione: Koch Media
Durata: 91′
Origine: Usa 2019

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