La Befana vien di notte, di Michele Soavi

Il culto italiano della Befana nel tentativo di riraccontarne le vicende a metà tra Roald Dahl e Stranger Things, permette a Guaglianone di tratteggiare un’altra figura femminile forte, emancipata

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Rinvigorito dal successo del suo Rocco Schiavone in tv, Michele Soavi torna sul grande schermo, da cui mancava dal 2008 del terrificante Sangue dei vinti, con un progetto che sembra costruito dallo sceneggiatore Nicola Guaglianone proprio per adattarsi ad un ripasso del Soavi degli esordi, quello che, insieme ad alcune vette di Lamberto Bava, entrambi factory Argento, cercava con forza una via al fantastico più sfrenato tra le maglie del cinema italiano. La civetta bianca, compagna di avventure di questa Befana e animale-guida per la sua liberazione, è forse il rimando più evidente all’epoca delle Sette e delle Chiese, ma altrettanto si potrebbe dire di alcune location come l’anfratto sotterraneo della Strega o la catapecchia del cacciatore, istantaneamente colte come occasioni per intrecciare ombre e visioni dal sempre clamoroso Nicola Pecorini, la scelta più azzeccata per curare le immagini dell’operazione.
Che è quella, oramai classica nel canone-Guaglianone, di forzare la narrazione all’italiana mediante l’inserimento di schegge d’immaginario pop mutuate da fumetti, cartoni, home video d’importazione, selvaggiamente cannibalizzate da ragazzi.

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Il culto italiano della Befana si presta generosamente al tentativo di riraccontarne le rocambolesche vicende in provincia nordica innevata come se fossimo a metà strada tra Roald Dahl e Stranger Things, e permette allo sceneggiatore di tratteggiare un’altra di queste figure femminili forti, emancipate e impossibili da incasellare, che ne hanno fatto la fortuna di narratore da Jeeg Robot a In viaggio con Adele via Indivisibili e Benedetta Follia.
E’ chiaro che il perfido giocattolaio Mr John di Stefano Fresi non possegga la potenza dirompente da antagonista dello Zingaro, ma questa Paola Cortellesi maestra elementare di giorno e vecchietta secolare e immortale di notte, sorta di Satanik senza pruderie, porta con sé un’efficacia che sembra davvero quasi uscita da uno script di Massimiliano Bruno (con cui Guaglianone ha lavorato al nuovo film), e d’altronde Soavi è uno che potrebbe dirigere senza problemi sia il sequel di Lo chiamavano Jeeg Robot (che si allea con il Capitano Ultimo contro il Male?) che un nuovo adattamento da Gli ultimi saranno gli ultimi.

Peccato allora che il risultato finale funzioni a corrente alterna, la reinvenzione dell’immancabile veduta dall’alto a fini di sovvenzionamento da ente turistico come attraversamento della Befana in volo sui tetti è bella e funzionale ad esempio, ma molto meno lo sono l’intero atto risolutivo tra la fabbrica dei giocattoli e la rupe ripidissima, o la canzoncina – quella sì, da prodotto televisivo – che accompagna le peripezie della squadra di ragazzini alla ricerca della maestra rapita.
Una traiettoria della storia che in altri istanti inanella intuizioni inedite, come quella della nave-bici ottenuta assemblando le biciclette dei piccoli protagonisti in una sorta di veliero che fende la neve e le montagne verso il più classico dei coming of age d’avventura.

Regia: Michele Soavi
Interpreti: Paola Cortellesi, Stefano Fresi, Fausto Sciarappa, Diego Delpiano, Odette Adado, Jasper Gonzales Cabal, Robert Ganea, Cloe Romagnoli, Francesco Mura, Giovanni Calcagno, Luca Avagliano
Origine: Italia, 2018
Distribuzione: Universal Pictures/Lucky Red
Durata: 98′

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