La bella e le bestie, di Kaouther Ben Hania

Tratto da una storia vera La bella e le bestie di Kaouther Ben Hania presentato a Cannes ripercorre la notte di agonia di Meriem, vittima di uno stupro, adoperando soltanto dei piani sequenza

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Tunisi, terzo millennio, per Meriem (Mariam Al Ferjani) è una notte di festa. Il suo desiderio sarebbe soltanto quello di passare del tempo insieme a Youssef (Ghanem Zrelli), un ragazzo conosciuto in discoteca, ma il buio le tiene in serbo una sorpresa di cui farebbe volentieri a meno: mentre cammina romanticamente sulla spiaggia viene assalita e stuprata da un gruppo di poliziotti. Presentato nella sezione Un Certain Regard dell’edizione 2017 del Festival di Cannes, La bella e le bestie di Kaouther Ben Hania è un affresco della Tunisia contemporanea, un film denuncia sulle condizioni della donna in un paese musulmano dove il processo di implementazione democratica, con la sua scorta di diritti e garanzie, è fermo su un’interpretazione antiquata e la libertà diventa una concessione ad personam.

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Se la fede è soltanto un pretesto, il precipitato di soprusi, molestie, minacce, violenze, intimidazioni fisiche e psicologiche trovano spazio dentro uno stato laico ancora immaturo. Nei nove lunghissimi piani sequenza che compongono il film prende corpo un bisogno di deresponsabilizzarsi, negare, camuffare l’evidenza dietro la ricerca di una giustificazione di natura morale per brandire la spada del pregiudizio e dell’ignoranza. E da questa presa di distanza collettiva, in nome del bene supremo, nelle mani di funzionari sadici, rimbalzati da un posto all’altro, cresce un senso di smarrimento, di sfiducia ed abbandono. Una trama minimale, limpida, che punta alla sottrazione dei margini di sicurezza, a spandere destabilizzazione e sfiducia, nella vittima come nello spettatore, perfetta per raccontare le storture di una legge invocata per assicurarsi l’impunità o continuare ad esercitare un potere dal pugno duro.

Tratto libro di Meriem Ben Mohamed, Coupable d’avoir été violée, a sua volta ispirato ad una storia vera, il film, proprio per la decisione di adoperare blocchi di piani sequenza, ha spinto la regista ad affidarsi ad attori con esperienza teatrale, abituati a rimanere in scena e dunque maggiormente a loro agio per tempi di ripresa dilatati. Ed effettivamente la loro presenza si dimostra solida e senza imbarazzi, fino al paradosso, in principio d’abuso, di risultare eccessiva ed ingombrante per un materiale filmico già di per sé esplosivo.

Con i protagonisti sospesi sul ciglio della rassegnazione, che nella deriva autoriale della macchina da presa appaiono depotenziati, esce frustrata la stessa anima thriller del racconto, che assume un significato decisamente politico, quasi involontario. Il calvario di Meriem tra ospedali, cliniche, questura e distretti ha le sembianze di una lenta agonia, la stessa dove sembra ristagnare un paese ricacciato dalle stesse paure di un tempo, in primis quella di una vera emancipazione femminile in ogni ambito sociale e lavorativo (ma anche nella semplice, mai scontata, libertà dei costumi), che lo condanna a fare i conti con dei dilemmi mai veramente affrontati e risolti.

Titolo originale: La Belle et la Meute (Aala Kaf Ifrit)
Regia:
Kaouther Ben Hania
Interpreti:  Mariam Al Ferjani, Ghanem Zrelli, Noomen Hamda
Origine: Tunisia, 2017
Distribuzione: Kitchenfilm
Durata: 100’

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