"La bellezza del somaro", di Sergio Castellitto

Con il fantasma di Marco Ferreri, un disturbante, eccessivo ma anche coraggioso e seducente ritratto di una generazione  sull'orlo di una crisi di nervi, una giostra impazzita azionata dalle sonorità di P.I.M.P. di 50 Cent o abbandonata a quelle di Dreams di The Cranberries. Castellitto regista, come il precedente Non ti muovere, non fa sconti. Prima tiene a distanza, poi contagia. E nella testa restano le cose migliori del film che finiscono per contaminare e poi annullare le parti meno riuscite 

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Aleggia il fantasma di Marco Ferreri su tutto La bellezza del somaro. Innanzitutto con le apparizioni del somaro in cui sembra che riprendono forma proprio quelle atmosfere del primo periodo spagnolo, quello di El pisito ed El cochecito. Inoltre sia lo stesso Castellitto sia Enzo Jannacci sono passati attraverso il suo cinema, il regista con La carne, il cantautore con L'udienza. Una giostra impazzita, una generazione sull'orlo di una crisi di nervi che Castellitto (al suo terzo film da regista dopo Libero burro e Non ti muovere) porta sullo schermo amplificando gli eccessi, esibendo il grottesco esibendo quelle incontrollate esagerazioni presenti anche in alcuni suoi ruoli come attore, come per esempio in Caterina va in città. Marcello e Marina sono una coppia affiatata e benestante. Nel corso di un weekend nella loro casa in campagna in Toscana in cui ci sono anche i loro amici di sempre, come il manager depresso Valentino con la moglie invadente Raimonda e il cardiologo Duccio che in prime nozze aveva sposato la dispotica giornalista di guerra Delfina, la situazione precipita; la loro figlia Rosa, 17 anni, arriva con un nuovo compagno. Non si tratta però di un coetaneo ma del settantenne affabile Armando.

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Castellitto sulle tracce disperse di Kasdan di Il grande freddo: un funerale e poi un raduno di amici. Un gruppo allo specchio, nelle sue contraddizioni, nelle finte idee progressiste, ritratto impietoso di una classe anche agiata ma consumata dal proprio narcisismo e dalla propria isteria come la bella figura di Delfina, quasi caricatura anche nel fisico di Oriana Fallaci, che esibisce ed urla al mondo il suo isolamento o Valentino che cerca quasi l'assenza, la voglia di diventare invisibile. Poi il gruppo dei ragazzi disorientati dagli adulti e i pazienti della moglie, tutte incarnazioni di un cinema che Castellitto – anche sul suo corpo e su quello della Morante – deforma al punto limite, con tracce quasi da cartoon. Storie di ordinaria follia, dove Verdone di Compagni di scuola si scontra col cinema di Jean-Pierre Jeunet, dentro il paesaggio toscano (zona S. Casciano Bagni, Siena) che inghiotte e isola questo gruppo come se si trattasse di una comunità, di una specie protetta che non è detto che vada salvaguardata. La bellezza del somaro, come Non ti muovere è un cinema che rischia grosso. Dentro c'è sempre la scrittura della moglie Margaret Mazzantini che Castellitto non riesce, anzi non vuole dominare o controllare e allora diventa una bomba esplosiva, come questo film e il precedente, disturbante e coraggioso, fastidioso e seducente che però si solidifica nella testa proprio con i suoi momenti migliori che contaminano e poi annullano anche le parti meno riuscite. Restano luci così forti che filtrano nell'inquadratura, apparizioni che sono quasi emanazioni di 'sogni perduti' (la Bobulova con il biberon) mosse dalle sonorità di P.I.M.P. di 50 Cent o improvvisamente abbandonate a Dreams di The Cranberries. In questi ultimi due film Castellitto ha liberato tutto se stesso, senza filtri. Può piacere o meno ma è certo che un'identità c'è. Una di quelle con le quali inizialmente ti tieni a distanza, poi ci entri in confidenza e ti contagia.

Regia: Sergio Castellitto

Interpreti: Sergio Castellitto, Laura Morante, Enzo Jannacci, Marco Giallini, Barbora Bobulova, Gianfelice Imparato, Nina Torresi, Lidia Vitale, Emanuela Grimalda, Lola Ponce, Erika Blanc, Pietro Castellitto

Distribuzione: Warner Bros.

Durata: 107'

Origine: Italia, 2010

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    3 commenti

    • Un'identità c'è? Mah. A me è sembrato semplicemente un film scritto malissimo e recitato peggio. Un insieme di luoghi comuni ai limiti dell'insopportabile. Da toscano mi fa sorridere l'uso ricorrente del paesaggio toscano per coprire altre magagne. E da italiano trovo penoso il modo di recitare di quasi tutti gli attori italiani. Una come la Morante, per esempio, un bel volto, espressivo, capace di far solo la parte della schizzata. Evidentemente non ha studiato, come Casellitto ha solo un'idea vaga di cosa sia il mestiere del regista…

    • forse è la versione un po' annacquata di Io ballo da sola di Bertolucci, però Castellitto sa metterci dentro cosi' tante cose che alla fine – ha ragione Emiliani – ti restano appiccicate solo quelle belle. Complimenti per l'accostamento a Ferreri, mentre lo vedevo mi chiedevo chi avesse fatto film così sconclusionati ed emotivamente impavidi. ecco la risposta. grazie

    • Paragonare il film di Castellitto a Ferreri mi pare eccessivo,così come definire la Bobulova col biberon un'emanazione di sogni perduti.Direi piuttosto che il film è fatto molto male, non riesce ad evocare né atmosfera sognante, né problematiche sociali.