"La casa dei matti", di Andrej Konchalovskij

Un'inizio fortissimo, estremamente libero (l'immagine del treno illuminato con Brian Adams che canta uno dei suoi successi vicino a Janna) in un'opera che evidenzia una stanchezza creativa soprattutto nella seconda parte. Resta un coinvolgimento di Konchalovskij sincero verso i suoi personaggi, un'umanità innegabile

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L'accecante e attraente follia dentro la materia tragica della Storia. Il russo Konchalovskij, uno dei registi più rappresentativi del cinema sovietico degli anni Settanta (da considerare anche la rispettabile parentesi hollywoodiana del decennio successivo con opere come A 30 secondi dalla fine e Tango & Cash), si chiude con La casa dei matti nella struttura di un cinema grottesco che si alimenta continuamente sulla deformità fisica e mentale dei protagonisti, su ambienti stretti dove i corpi sono spesso costretti a scontrarsi (un ospedale psichiatrico) e su quella continua ambivalenza tra la tragicità della guerra e la forte componente onirica che mostra sempre l'alterazione percettiva della realtà. Ambientato nel 1996 durante il primo conflitto in Cecenia, La casa dei matti lascia emergere da una collettività rappresentata in maniera alquanto informe alcuni personaggi come Janna, una giovane ragazza che crede di essere la fidanzata sia del cantante statunitense Brian Adams sia di un soldato dell'esercito che s'insedia assieme agli altri compagni nel luogo. Già da Asja e la gallina dalle uova d'oro, Konchalovskij porta in scena le malformazioni del potere con atteggiamento già distaccato. Il respiro politico, la rappresentazione delle condizioni del paese, l'umanità ai margini si chiudono in un iconografia e in una messa in scena che gioca sulla perdita di un registro narrativo preciso per appigliarsi a visioni volutamente strampalate, a improvvisi abbandoni – l'immagine del treno illuminato con Brian Adams (la presenza più sorprendente del cast) che canta uno dei suoi successi vicino a Janna in una scena così libera dove si vede l'anima del Konchalovskij migliore – figurativamente forti, all'uso sovrabbondante di una parola che vive sul continuo non-sense. La struttura bellica s'insinua solo marginalmente, mostrando parzialmente ferimenti e i rumori delle pallottole e lo stesso impianto onirico produce immagini seducenti ma mai autentici sogni. Resta un coinvolgimento di Konchalovskij sincero verso i suoi personaggi, un'umanità innegabile. Del resto le abilità di narratore e visive del cineasta russo, rispetto alla furbizia preconfizionata del fratello Nikita Michalkov, sono fuori discussione. La casa dei matti però evidenzia, soprattutto nella seconda parte, segnali di stanchezza di uno dei cineasti russi più significativi dalla metà degli anni Sessanta, diviso tra le allegorie fantastiche dello Jiri Menzel più svogliato e la frenesia "post-kusturikiana" di Pavel Longuine.

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Titolo originale: Dom durakov
Regia: Andrej Konchalovskij
Sceneggiatura: Andrej Konschalovskij
Fotografia: Sergej Kozlov
Montaggio: Olga Grinspun
Musica: Edward Artemiev
Scenografia: Lubov Skorina
Costumi: Svetlana Walter
Interpreti: Julia Vysotsky (Janna), Evgenij Mironov (ufficiale), Sultan Islamov (Ahmed), Bryan Adams (se stesso), Stanislav Varkki (Ali), Anatolij Adoskin (Fuko), Vladas Bagdonas (il dottore), Rasmi Djabrailov (Mahmud), Vladimir Fedorov (Karlo), Elena Fomina (Lucy)
Produzione: Persona/Hachette Premiere/Bac Films
Distribuzione: Istituto Luce
Durata: 104'
Origine: Russia/Francia, 2002

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