La città che cura, di Erika Rossi

Il documentario incentrato sul quartiere di Ponziana a Trieste racconta l’esperimento di Microaree, mirato a riportare l’attenzione del fare salute sul benessere emotivo e relazionale delle persone

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Erika Rossi continua il suo percorso personale dentro tutte le anime di Trieste con un nuovo tentativo di ridefinire il tragitto cittadino attraverso il racconto di lotte nascoste, umanità dimenticate, piccoli ma coriacei atti di resistenza e risposta condivisa all’isolamento. Dopo il ritratto privato di Lorena Fornasir del film precedente, La città che cura ritrova il respiro corale di Trieste racconta Basaglia o Il viaggio di Marco Cavallo: stavolta, il focus è sull’attività degli operatori di Microaree, progetto di salute pubblica che tiene insieme l’intervento sociale con il diritto alla sanità e con il contrasto alla dissoluzione del senso comunitario nelle periferie.
Siamo nel quartiere Ponziana di Trieste, dove l’anziano pianista Plinio non esce più di casa, Roberto cerca di superare le difficoltà dell’ictus provando a fare teatro, e Maurizio di combattere i fantasmi di una vita di eccessi. La squadra di Microaree è impegnata nel costruire nuovi scenari di vita per ognuno di loro, costruendo istanti di condivisione e percorsi riabilitativi che tentino in ogni modo di evitare il destino ineluttabile dell’essere guardati solo come “pazienti” o “malati” dal sistema e dagli altri.
Sono storie di grandissima solitudine dentro le quali Erika Rossi si insinua pedinando l’operato quotidiano degli assistenti, con l’usuale delicatezza di sguardo e discrezione dell’apparato, forse un po’ “appesantito” solo in occasione di alcuni istanti di armonia di gruppo, sottolineati da un commento musicale che rischia qualche ridondanza. La soddisfazione per i primi risultati incoraggianti di questi interventi terapeutici e sociali si trasforma a volte nella doccia fredda di una ricaduta improvvisa e crudele, ma lo sguardo in macchina di Plinio seduto al tavolino esterno di un bar che chiude l’opera è un fotogramma struggente, che da solo vale l’intera operazione.

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Il documentario prende in prestito il suo titolo dal libro La città che cura. Microaree e periferie della salute (Collana 180 Edizioni Alphabeta Verlag, 2018) a cura di Giovanna Gallio e Maria Grazia Cogliati Dezza, che racconta questo esperimento che non ha eguali in tutta Europa, mirato a riportare l’attenzione del ‘fare salute’ sul benessere emotivo e relazionale delle persone, al di là delle statistiche e della casistica basata unicamente su ricoveri e rendimenti delle strutture sanitarie.
Per questo motivo, le sezioni dedicate al racconto delle assemblee e degli incontri strategici tra gli operatori si rivelano a sorpresa come l’apporto più urgente dell’intero film, da un lato legando l’armamentario formale di Erika Rossi alle grandi traduzioni documentaristiche costruite intorno alle tavole rotonde e agli accesi scambi dialettici delle riunioni, e dall’altro esplicitando la portata politica e l’ambizione rivoluzionaria alla base delle pratiche di quartiere attuate nell’esperienza di Microaree.

 

Regia: Erika Rossi
Distribuzione: Lo Scrittoio
Durata: 89′
Origine: Italia, 2019

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