La città si difende, di Pietro Germi

Un piccolo e prevedibile film, in cui però la padronanza del racconto non rovina l’attesa. Un noir italiano sul tema dei vinti di verghiana memoria. Stanotte, ore 1.30, Rai 3

--------------------------------------------------------------
CORSO DI SCENEGGIATURA ONLINE DAL 6 MAGGIO

--------------------------------------------------------------

Pietro Germi realizzò La città si difende subito dopo Il cammino della speranza e i due film hanno in comune lo sguardo sui perdenti e su quella umanità marginale che, in questo caso, non sa essere protagonista della propria vita. Una caratteristica che con queste connotazioni estranee a quella stagione, è stata comunque una eredità del neorealismo che con Germi si carica di un moralismo che diventa una costante genetica del suo lavoro, soprattutto in questo primo periodo della sua carriera. I personaggi del film, infatti, si lasciano vivere o smettono di vivere, la dove il neorealismo, invece, riconosceva a questa classe sociale una via d’uscita, una possibilità di emancipazione. Il film di Germi nega questa ipotesi con un accentuato pessimismo.
Di sicuro La città si difende è un piccolo film, breve nel suo svolgersi e sintetico nella padronanza del racconto anche se carico di una dose di prevedibilità. Ma queste peculiarità, tutto sommato non rovinano l’attesa di un noir italiano la cui spina dorsale sembra si sia formata sul tema dei vinti di verghiana memoria.
Paolo, Luigi, Guido ed Alberto sono dei poveri cristi, chi esce da un passato glorioso nello sport ed è stato costretto dalla mala sorte al ritiro tanto preventivo quanto disperato, chi coltiva speranze artistiche e chi invece è solo disperato per natura, per estrazione sociale e contaminazione familiare.
Il bottino del furto dell’incasso dello stadio finirà per disperdersi dentro le vite di questi quattro protagonisti nell’Italia ancora disadorna del post guerra. Non c’è speranza per i vinti e l’ingombrante voce fuori campo ci ammonisce ricordando la sottile e invisibile tela tessuta dalla polizia per stringere il cerchio attorno ai criminali.
Uno dei pregi del film è quello di lavorare con una certa caparbia volontà attorno al tema della città e già dal titolo, la sottolineatura che ne enfatizza la contestualizzazione, ci introduce all’argomento e soprattutto rimarca, non si sa quanto involontariamente, la centralità della metropoli come luogo di oscura

malvivenza. Al rinascere del cinema dopo la seconda guerra mondiale la questione della convivenza metropolitana tra la grande quantità di cittadini osservanti delle leggi e l’oscura criminalità che approfitta delle maglie larghe e della dispersione che una grande città permette, è stato oggetto di sguardi intensi e non poco efficaci da parte di grandi e più artigianali cineasti. Una ricca e variegata filmografia ridisegna i profili notturni della città, restituendo quel mistero che si consuma mentre tutto il resto della città dorme. Esempi illustri La città nuda di Jules Dassin, L’urlo della città di Robert Siodmak e Mentre la città dorme di George Sherman. Il cinema degli anni settanta avrebbe definitivamente consacrato – con film che hanno il fascino di una classicità insuperabile (I guerrieri della notte su tutti) – la completa mappatura della metropoli cominciando a scandagliare il quartiere e la sua segreta vitalità buona e cattiva.
La città si difende, che non a caso nasce da un soggetto di Federico Fellini, Tullio Pinelli e Luigi Comencini e da una sceneggiatura scritta dai primi due con lo stesso Germi e Giuseppe Mangione, sembra anticipare queste inclinazioni e non è casuale che il film possegga rimarchevoli venature che lo assimilano alla cinematografia d’oltreoceano. Germi era incline a questa contaminazione e i suoi perdenti in molto assomigliano a quelli della Hollywood di quegli anni. Puro noir quindi anche se manca di mistero se non quello della vita precedente dei suoi protagonisti. Germi immerge il suo racconto in un realismo esplicito, arricchendo di pregevoli chiaroscuri le lunghe riprese notturne e sapendo ritagliare i suoi personaggi dentro cornici di perfetta simmetria nel racconto che nella sintesi degli ottanta minuti, sa destreggiarsi tra le vite dei suoi quattro protagonisti.
Apprezzato all’epoca della sua uscita, tanto da vincere il Premio della Presidenza del Consiglio dei Ministri al Festival di Venezia del 1951, fu poi dimenticato o quasi, pur avendo dimostrato il coraggio di affrontare il tema del noir tra le mura di casa nostra, ma forse pesò quel moralismo sottile che lo pervade, quel senso di sconfitta che è disegnato sui volti dei suoi protagonisti (costante frequente nel cinema del regista genovese), pesò quindi quel presagio pessimistico che accompagna la storia contro la voglia che si stava diffondendo di cambiare registro nello sguardo verso il futuro. Oggi il film conserva intatte le sue qualità e i suoi limiti. Il cinema di Germi da li a qualche anno avrebbe preso un’altra piega, ma la sua passione per il noir avrebbe trovato in Un maledetto imbroglio un esito di qualità che conferma le doti già evidenti che con questo film il suo autore aveva dimostrato.

--------------------------------------------------------------
#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

--------------------------------------------------------------

Regia: Pietro Germi
Interpreti: Paolo Leandri, Gina Lollobrigida, Cosetta Greco, Fausto Tozzi, Paolo Müller
Durata: 84’

Origine: Italia, 1951

Genere: drammatico

--------------------------------------------------------------
CORSO ONLINE SCRIVERE E PRESENTARE UN DOCUMENTARIO, DAL 22 APRILE

--------------------------------------------------------------

    ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SENTIERI SELVAGGI

    Le news, le recensioni, i corsi di cinema, la riviste, i libri, gli eventi e tutte le nostre iniziative


    Array