È difficile dire se la genialità sia nella storia – letta sul giornale dal regista e sceneggiata con il nativo Andamion Murataj – o nel modo in cui Marston la rappresenta. La faida è un incredibile, acuto, intelligentissimo rompicapo. Un puzzle sul quale, durante e dopo la visione, si può riflettere all’infinito senza possibilità di trovare la soluzione
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È difficile dire se la genialità sia nella storia – letta sul giornale dal regista e sceneggiata con il nativo Andamion Murataj – o nel modo in cui Marston la rappresenta. La faida è un incredibile, acuto, intelligentissimo rompicapo. Un puzzle sul quale, durante e dopo la visione, si può riflettere all’infinito senza possibilità di trovare la soluzione. Un paesaggio desolatamente rurale, dove si capisce subito che per andare avanti non c’è alternativa al farsi strada piegandosi in due e spostando a mano pietre apparentemente piccole, sempre troppo pesanti. Un paesaggio in cui convivono carretti trainati da cavalli e motorini modificati, sopravvivenza familiare a base di consegne del pane e sigarette di contrabbando e cellulari che quasi per magia si collegano ad autoradio, pc e internet con un solo obiettivo – condividere e diffondere immagini e identità in faticosa auto-costruzione. Ricorda quasi il duello simulato di Dostoevskij in Memorie dal sottosuolo l’evento scatenante di questa vicenda. Nel momento in cui l’irreparabile accade e le quotidiane provocazioni finiscono per sfociare nella violenza umana, all’improvviso, repentinamente, il mondo cambia prospettiva. Il giovane protagonista Nik viene trascinato in auto dai suoi familiari e, mentre viene condotto a casa sua, si ritrova costretto a testa bassa, a guardare un fuori finestrino sbilenco e rovesciato. Il mondo diventa qualcosa che non si conosce e non si riconosce. I peluche che qua e là colorano la casa di questa famiglia vanno alla deriva verso il fuori campo. Finisce l’innocenza e, per Nik, inizia la reclusione forzata. Sua sorella Rudina (entrambi commoventi nei dettagli delle loro interpretazioni da “non professionisti”) è solo apparentemente privilegiata. E’ una donna ed è l’unica a poter uscire di casa perché il codice Kanun, origine e regola delle faide stesse, risparmia le donne (perché irrilevanti rispetto alle questioni d’onore? Perché custodi della riproduzione? Perché collanti dei nuclei familiari?). Rudina è invece costretta, in nome di qualcosa che la generazione cui appartiene non può nominare se non come follia e incomprensibilità, a rinunciare ai suoi amati libri di scuola e al suo potenziale universitario per consegnare il pane al posto del padre, che resta nascosto e latitante. La faida, il cavallo e il carretto che fino a quel momento la spaventavano facendola sentire fuori controllo sono il trickster di Rudina. Le cose non vanno come dovrebbero. Il realismo sociale con cui Marston descrive le famiglie e la società albanese si libera e diventa immensamente potente nei momenti di penombra, da cui emergono frustrazione e rassegnazione, impotenza e insanabili fratture generazionali: lucciole che stanno nelle tenebre. Contraddizione infinita come un frattale: il padre di Nik e Rudina, che non ha di fatto ucciso il suo “rivale” ma lo ha affrontato ben conoscendo la potenziale degenarazione del suo gesto, dovrebbe essere in carcere per poter – forse – restituire la libertà, il presente e il futuro ai suoi giovanissimi figli? Oppure loro, costretti alla reclusione per sopravvivere, per conservare una non-vita (Nik come un animale allo zoo, Rudina con in mano le redini economiche della famiglia), dovrebbero costringersi al sacrificio per evitare il carcere al padre? Non c’è soluzione. Anzi, sì: quella che si fa strada scena dopo scena, ed emerge nel finale. Ma è una non-soluzione. Il codice si fa (consapevolmente o no?) beffe di chi ama e di chi si assume responsabilità sue e non sue. E suo malgrado trasforma la casa e la famiglia in una gabbia che intrappola anche l’aria – i sogni.
Titolo originale: The forgiveness of blood
Regia: Joshua Marston
Interpreti: Tristan Halilaj, Sindi Laçej, Refet Abazi, Ilire Vinca Çelaj, Çun Lajçi
Origine: USA/Albania/Danimarca/Italia, 2011
Distribuzione: Fandango
Durata: 109'
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