La femme la plus riche du monde, di Thierry Klifa

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Liberamente ispirato al caso della miliardaria Liliane Bettencourt, un dramma borghese che vira verso il thriller incalzante e spietato. Gara di bravua tra Huppert e Foïs. CANNES78. Fuori Concorso

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“Non devo giustificare chi sono” dice il personaggio di Marianne, interpretato da Isabelle Huppert, in La femme la plus riche du monde. Il suo personaggio sembra uscire dal cinema di Chabrol poprio per come esplora gli ambigui rapporti di potere ma anche tra i sessi. L’attrice aveva collaborato con lui in sette film e questa è probabilmente la figura che si porta maggiormente dietro l’eredità del cineasta non tanto per delle similitudini con gli altri personaggi che aveva portato sullo schermo, ma per i gesti e lo sguardo che nasconde le sue reali intenzioni. In La femme la plus riche du monde c’è una gara di bravura tra lei e Marine Foïs nei panni di Frédérique, figlia del marito e sua ereditiera. Le due attrici ingaggiano una guerra di nervi in un conflitto prima nascosto e poi esplicito.

Marianne ha tutto: potere, intelligenza e bellezza. Vive in una lussuosa abitazione assieme al marito e al fedele maggiordomo, presenza apparentemente nascosta ma poi decisiva. L’arrivo di Pierre-Alain Fantin, scrittore e fotografo che ha incontrato per un servizio per la copertina del Selfish Magazine, le cambia completamente la vita. I due diventano amici e sempre più intimi anche se l’uomo è gay. La loro relazione sconcerta il suo entourage; con loro la guerra è appena cominciata.

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Liberamente ispirato al caso della miliardaria Liliane Bettencourt, a capo dell’impero L’Oréal che è scoppiato nel 1987, La femme la plus riche du monde ha uno slittanto temporale di circa un decennio; ci sono, per esempio, dei riferimenti a Titanic di Cameron uscito nel 1997. Thierry Klifa, al sesto lungometraggio sovrappone le forme del thriller al dramma borghese anche se il film ha anche il taglio dell’inchiesta giornalistica – come si vede dalla  interviste ai personaggi su sfondo nero – che è stato il lavoro del regista prima di passare dietro la macchina da presa. L’incontro tra Pierre-Alain e Marianne richiama quello tra lo scrittore in crisi d’ispirazione e la giornalista star della tv e della figlia in Les yeux de sa mère e scava in modo ancora più feroce nella parte torbida delle coscienze come già aveva fatto in Tout nous sépare. Non cerca l’empatia con i suoi personaggi ma scava nelle dinamiche di una trasformazione sia di un impero miliardario sia personali. La mutazione inizia con piccole richieste, come quella in cui il fotografo chiede a Marianne di mettersi la camicia e cambiare i pantaloni. Poi mette a fuoco prevaricazioni sempre più insistenti, mostrati in modo graduale ma decisamente efficace. Non c’è l’ostentata ricchezza dei grattacieli e dei viaggi in aereo di Succession, ma dalla serie il film riprende la cattiveria, il cinismo, e la precisa caratterizzazione dei personaggi con le loro zone d’ombre. Il buio nella mente prende così forma in un film incalzante e spietato che non cerca di sorprendere ma riportare sullo schermo l’effetto di uno scandalo che ha scosso l’opinione pubblica Missione compiuta.

 

 

 

 

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.6
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Il voto dei lettori
4 (1 voto)

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