La Film Factory di Béla Tarr: "Il cinema non si può insegnare. Ai giovani registi la libertà e il coraggio"
Parte a Sarajevo la Film Factory diretta da Béla Tarr: un tentativo di sviluppare la libertà e il coraggio di una nuova generazione di registi indipendenti, con docenti quali Gus Van Sant, Apichatpong Weerasethakul, Fred Kelemen, Atom Egoyan, Jim Jarmusch, Carlos Reygadas, Friðrik Þór Friðriksson, Jean-Michel Frodon, Jonathan Romney, Jonathan Rosenbaum, Thierry Garrel, Tilda Swinton
Film Factory, un nuovo corso per filmmakers a Sarajevo, diretto dal grande maestro ungherese Béla Tarr, oggi cinquantasettenne, che ha che sembra volersi da ora in poi dedicare solo alla formazione di nuovi talenti, dopo quello che rischia di essere il suo ultimo capolavoro: A Torinói ló (The Turin Horse) presentato alla 61° Berlinale.
Quando ha iniziato, lui stesso era un totale sconosciuto, racconta. "Facevo film a basso costo, a nessuno importava chi ero e cosa stavo facendo, e quando il film era terminato era già troppo tardi per qualsiasi intervento o censura. Quando mi è stato chiesto di tagliare, la mia risposta è sempre stata no. Sapevo che anche se il mio film sarebbe apparso 30 anni dopo, era giusto così."
Oggi, mentre cresce la quantità delle immagini, paradossalmente, percepiamo la svalutazione crescente di questo bel linguaggio, ogni giorno, dice Tarr nella sua presentazione.
Secondo il grande cineasta, rispetto a 20 o 30 anni fa non sono cambiate solo le circostanze. Se la sua generazione ha imparato a resistere, a ribellarsi contro un sistema e delle regole imposte, "intere generazioni di giovani registi oggi hanno paura. Ma non è paura del sistema o della politica, è qualcosa di completamente diverso. Hanno paura delle banche. Un'intera generazione è diventata vittima dei mutui, in debito con i prestiti, prigionieri della propria vita. Se a questo aggiungiamo che vengono messi sotto pressione per soddisfare tutte le aspettative del mercato e dei produttori, abbiamo una generazione che deve fare troppi compromessi per sopravvivere".
La sfida è dimostrare che è ancora possibile concepire una nuova generazione di registi capaci di trovare la propria voce, una voce responsabile, e di utilizzare loro capacità creative per difendere la dignità dell'uomo nella realtà che ci circonda. Non un modo di dire. Si pensi a Prologue, del 2004, la scelta radicale di Tarr di rappresentare l'Europa in un momento in cui tutti ne celebravano l'unione (video). Un corto che parla di una condizione universale e del passare del tempo, eppure, anche tristemente profetico.
Il programma triennale di dottorato, rivolto ai registi esordienti, è estremamente selettivo – in tutto diciassette studenti provenienti da diversi paesi del mondo, tra cui Thailandia, Islanda, Messico e Giappone – ed è stato lanciato nell'autunno del 2012, con il primo semestre partito il 15 febbraio 2013, sostenuto dal Sarajevo Film Festival, all'interno della University School for Science and Technology della capitale bosniaca.
"Tutto è iniziato quando ho deciso di non fare più film" racconta Tarr. "Ho avuto la sensazione che questo avrebbe dovuto essere il passo successivo nella mia vita: voglio condividere quello che so, proteggere i giovani registi, dare loro la protezione di essere liberi".
Il corso – dal costo di 15.000 euro l'anno, con l'aiuto di borse di studio da diversi fondi e sovvenzioni governative dei paesi d'origine – è un tentativo di incoraggiare un approccio radicale e artistico al cinema, come sottolinea anche il direttore della fotografia preferito di Tarr, Fred Kelemen, a sua volta regista, che gestisce un laboratorio all'interno della scuola. Secondo lui molte scuole di cinema tralasciano alcuni aspetti della creazione di un film, preferendo un punto di vista del tutto finalizzato alla commerciabilità.
Oltre a una parte teorica, in cui verranno analizzate diverse pellicole, sono previsti workshop pratici gestiti da grandi del cinema indipendente, registi quali Carlos Reygadas, Aki Kaurismäki, Gus Van Sant, Jim Jarmusch, Friðrik Þór Friðriksson, Apichatpong Wheerasethakul, Atom Egoyan, i fratelli maestri dell'animazione Stephen e Timothy Quay – produttori, come il francese Thierry Garrel – attori, come Tilda Swinton – critici come Jean- Michel Frodon, Jonathan Rosenbaum, Jonathan Romney, storici del cinema, di storia dell'arte e drammaturgia.
Gli studenti lavoreranno a quattro cortometraggi durante i primi due anni, con un'opera finale conclusiva, una vera e proprie tesi, nel terzo e ultimo. "In effetti, è un po' come un menu" ha detto Tarr, paragonando l'arte di imparare a cucinare a quella cinematografica (un'idea condivisa da Herzog). "Gli studenti guarderanno all'opera dei grandi chef e impareranno i trucchi del mestiere. La preparazione vera e propria avverrà nel terzo anno e sarà sotto la mia responsabilità. […] Siamo qui, abbiamo telecamere, abbiamo luci, abbiamo fantasia. Loro hanno il tempo, sono giovani, pieni di energia, pieni di speranza – non vedo quali possano essere i problemi. Dobbiamo solo lavorare, lavorare, lavorare, lavorare".
Film.Factory, il sito ufficiale