La forza culturale del doppiaggio secondo lo studio Preply 2021

Lei si chiama Ilaria Stagni, classe 1967, doppiatrice dall’età di 11 anni. Un’istituzione. Se molti la ricordano per l’impertinente doppiaggio di Lisa Simpson nell’omonimo cartoon americano, molti altri la adorano per aver prestato la propria voce a star del cinema come Winona Ryder, Charlize Theron, Jennifer Lopez o Scarlett Johansson. Ma con l’attuale strapotere imperante di serie TV e colossi come Netflix la situazione del doppiaggio italiano è cambiata. Decisamente scadente, afferma Ilaria.

Capita di restare disorientati nel labirinto di serie TV proposto dalle nuove case cinematografiche del digitale ma alla fine di trovare ugualmente la fiction preferita del momento. Divano in salotto, snack, telecomando, tasto play. Ma gli orecchi attenti si accorgono che qualcosa non funziona. Il doppiaggio non è all’altezza. Voci strane, scardinate dai personaggi, sincronismi imperfetti. È il prezzo da pagare perchè le produzioni sono cresciute a dismisura, i tempi di doppiaggio si sono ridotti e la qualità è diminuita all’inverosimile. Eppure il doppiaggio potrebbe essere sostituito, almeno in parte, almeno per ragioni di conoscenza, con qualcosa di più utile. Estremamente più utile, per cultura personale. Stiamo parlando del sottotitolaggio. Lo afferma anche una ricerca del 2021 firmata Preply.

Si tratta di uno studio statistico elaborato in primavera dalla piattaforma di apprendimento digitale che mette in relazione da remoto studenti e tutor. L’obiettivo è insegnare una nuova lingua tramite gli strumenti di networking, videocall e videoconference. Bene, l’indagine mostra chiaramente come l’Italia sia un paese che fa largo uso del doppiaggio, almeno nelle serie legali trasmesse in streaming, mentre paesi come Portogallo, Svezia, Finlandia, Estonia, Danimarca, Slovenia, Croazia, Grecia e Romania impiegano largamente i sottotitoli facilitando così l’apprendimento di una nuova lingua da parte degli spettatori. Del resto anche la ricerca di Noa Tavalan nel 2006 dimostra che l’uso dei sottotitoli abilita e facilita la conoscenza di un nuovo idioma anche senza dover studiare eccessivamente con insegnanti e libri a supporto. Educa l’orecchio e l’ascolto. Permette di leggere, comprendere e imparare nuove parole.

L’indagine Preply non si è fermata all’analisi dei sottotitoli ma ha praticamente stilato una classifica dei 27 paesi UE, Regno Unito escluso, con l’elenco dei paesi virtuosi in cui esiste un ambiente più favorevole per studiare una nuova lingua. In cima alla graduatoria c’è il piccolo Lussemburgo, seguito da Svezia e Danimarca. L’Italia arranca, penultima, quasi in fondo alla classifica, preceduta solo dalla Bulgaria. I fattori statistici utilizzati per elaborare la classifica, paese per paese, sono stati raggruppati in sette macroararee. Ecco allora in dettaglio l’elenco completo che ha permesso la realizzazione del lavoro: lingue ufficiali parlate, sottotitoli e voiceover, diversità linguistica, pluriliguismo, formazione alla scuola primaria, competenza nella lingua estera più conosciuta e accesso allo studio di una lingua estera tramite gli strumenti di networking digitale.

A scapito di un doppiaggio scadente, insomma, sarebbe meglio sottotitolare l’enormità di prodotti audiovisivi in streaming, lasciando eventualmente al doppiaggio quel segmento cinematografico di qualità che merita l’eccelso lavoro di professionisti come Ilaria & co. Ne gioverebbe l’orecchio e la cultura personale.

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