LA FOTO DEL GIORNO – ON STRIKE!

Ne abbiamo pensati tanti, ma alla fine il vero PERSONAGGIO CINEMATOGRAFICO DELL’ANNO 2007 sembra proprio essere questo incredibile sciopero ad oltranza degli sceneggiatori hollywoodiani. Una lotta “invisibile” sui media e giornali italiani (ma non su quelli americani), che ha trovato spazio solo su Sentieri selvaggi (con un articolo, tra i più letti, di Umberto Martino) e su Il manifesto, di cui riproponiamo un interessante articolo di Luca Celada, apparso lo scorso 15 dicembre. Nel frattempo la lotta sui diritti dei new media prosegue… e gli scenari del futuro (della comunicazione e del cinema) appaiono sempre più incerti. Buon 2008, comunque, a tutti i lettori.

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Da il manifesto del 15 Dicembre 2007

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#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

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Scrittori contro Hollywood Uno sciopero nell'era Internet

La nuova lunga lotta degli sceneggiatori Usa, nell'epoca delle vendita dei film «on line», ultimo atto di guerra tra «creativi» e Majors Sul Sunset boulevard è in gioco l'intera sfera della comunicazione, infotainment, quotidiani e l'intera «nebulosa» cultura

Luca Celada – Los Angeles

 

«Mi scervellavo per trovare delle trame originali – ma non ero in vena, a quanto pareva, e le trame non erano abbastanza originali. O forse lo erano troppo. Fatto sta che nessun produttore le voleva…». È Joe Gillis/William Holden a parlare (già cadavere) nell'incipit di Viale del tramonto, capolavoro di Billy Wilder. È uno dei grandi personaggi del cinema e forse il più causticamente autoironico ritratto di sceneggiatore nella storia di Hollywood (almeno fino all'epitaffio che Wilder stesso scrisse per la sua lapide nel cimitero di Westwood: «sono uno scrittore – ma dopotutto nessuno è perfetto»).
Di certo ne sapeva qualcosa della vita del writer lui, Wilder, e Lang, Lorre, Lubitsch, Brecht e tanti altri della diaspora ebrea austro-tedesca, importati prima della guerra e arruolati dallo studio system. Hollywood li aveva accolti nell'era in cui gli sceneggiatori erano bassa manovalanza nella catena di montaggio dei mogul, operai della macchina da scrivere, schmucks (cioè cretini in yiddish) come li chiamava sprezzante Jack Warner, «poveretti con la Underwood». Negli studios timbravano il cartellino in writers pool, «redazioni» con centinaia di scrittori alla Paramount, all'Rko e Warner, alla Metro di Culver City, intercambiabili, messi a lavorare «in squadra» per la stesura di soggetti commissionati dai produttori come veicoli per questo o quella star della scuderia, in gruppi di tre o quattro, di solito con una scrittrice per i dialoghi femminili.
I primi scioperi Gli scrittori erano autori a contratto senza alcun diritto «d'autore» appunto e a Hollywood legalmente sono tuttora le case di produzione che figurano come autori dei film cioè sono le corporation i titolari legali delle opere, non i registi o gli sceneggiatori, e la pratica tradizionale di affidare successive stesure a diversi scrittori e dialoghisti rafforza un sistema in cui gli autori storicamente esercitano assai poco controllo artistico sulle proprie opere.
Negli anni della depressione, gli stipendi fissi, ancorché miseri, degli studios avevano il potere di attrarre una gran quantità di autori comprese celebrità del calibro di William Faulkner e F. Scott Fitzgerald, ma i sanguinosi scontri sindacali che scuotevano l'emergente coscienza sociale in America avrebbero presto avuto inevitabili ripercussioni anche a Hollywood.
Nel 1933 John Howard Lawson dichiarava aperta la prima assemblea della Writers Guild of America (Wga), il sindacato degli scrittori, nel Knickerbocker Hotel di Hollywood, dando lettura al manifesto fondativo che iniziava col rivoluzionario proclama «lo scrittore è il creatore dei film». Il neonato sindacato veniva subito emarginato dagli studios che consideravano le rivendicazioni degli scrittori improponibili ingerenze nel loro modello produttivo. I manager di Hollywood come Irvin Thalberg, braccio destro di Louis B Meyer all'Mgm, erano gli antesignani teorici della «flessibilità» dei creativi che fornivano le storie dei propri film; registi, attori e soprattutto sceneggiatori erano i precari di una fabbrica dei sogni strutturata sul modello di capitalismo industriale.
Michael Winship, the president of the Writers Guild of America EastLa battaglia del 1945 In questo senso lo sciopero di oggi è solo l'ultimo atto di lotta da parte dei creativi per ritrovare una misura di controllo sulle proprie idee e in generale nei rapporti spesso tempestosi tra studios e maestranze. E a Hollywood persiste fortemente la memoria storica di contenziosi sindacali come il venerdì nero nella cosiddetta guerra della Warner, un famoso sciopero del 1945 in cui i picchetti della Csu (Confederation of studio unions) vennero attaccati davanti alla Warner Bros. di Burbank da crumiri e polizia al servizio dello studio. Oltre a un episodio particolarmente cruento di lotta sindacale si trattò di uno scontro interno che segnò l'emancipazione dei sindacati hollywoodiani dall'influenza della malavita organizzata che li aveva fino allora infiltrati. I primi sindacati delle maestranze del cinema, infatti, erano inizialmente «emigrate» dalla East Coast dov'erano controllate dal mob, in particolare quello di Chicago. La mafia garantiva la «pax sindacale» a Hollywood in cambio del pizzo riscosso alle major. Contro la corruzione dello Iatse viene organizzato il Csu, sindacato democratico guidato da Herbert Sorrell, pittore divenuto presidente dopo il successo riscosso nello sciopero dei cartoonist nel 1941. È Sorrel che guida lo sciopero del '45 raccogliendo la solidarietà degli sceneggiatori, avanguardia «ideologica» della città: Aldous Huxley marciò con gli scioperanti, John Garfield e Dalton Trumbo furono osservatori volontari per la Wga davanti ai cancelli degli studios picchettati.
Il 5 ottobre 300 scioperanti che bloccavano l'entrata della Warner vengono assaliti poco dopo l'alba da crumiri, polizia e «servizio d'ordine» mandato dal mob di Chicago con catene, manganelli e idranti; i numerosi feriti vengono portati in ospedale dalle ambulanze con le sirene spiegate. La vertenza specifica viene risolta di lì a poco con un nuovo contratto ma l'anno successivo, nel 1946, gli studios contrattaccano con una serrata contro i militanti del Csu, cioè circa 10.000 lavoratori che in risposta piantonano i set, molti verranno arrestati, oltre 1300 nei successivi due mesi, compresi 700 in una sola retata presso la Columbia pictures.
Maccartismo e televisione
Malgrado la solidarietà del sindacato attori, Sag (Screen Actors Guild) e degli scrittori, le rivendicazioni sono bloccate dall'azione coordinata degli studios, appoggiati di lì a poco dal maccartismo che criminalizza come filocomunisti i sindacati hollywoodiani, a partire proprio dagli scrittori, categoria cui appartengono tutti gli «Hollywood ten», i 10 condannati dai tribunali Huac di Joseph McCarthy. Dispersi nell'«epurazione ideologica», gli autori troveranno poi una misura di emancipazione nello sviluppo tecnologico: sarà la tv col suo grande fabbisogno di contenuti a introdurre una conquista fondamentale: i diritti d'autore appunto. Le percentuali pagate sui passaggi e sulle repliche dei film in tv (e dei proventi pubblicitari che ne derivano i network) diventano dagli anni '50 il pane quotidiano di scrittori, attori e registi che non potrebbero altrimenti campare unicamente con le vendite saltuarie dei soggetti sul «libero mercato» della creatività. Da allora sono stati sempre gli sviluppi tecnologici a scandire successive modifiche al modello i lavoro. Lo aveva fatto il passaggio dai corti ai primi lungometraggi, poi l'arrivo del sonoro che promuove gli autori di cartelli a dialoghisti, poi la tv, ognuno un piccolo passo, per i creativi, nel tentativo di controllare il proprio destino artistico e finanziario. Billy Wilder, ai suoi tempi, la soluzione l'aveva trovata passando dietro al cinepresa (da La Fiamma del peccato) dichiarando sempre di essere diventato regista perché stufo di vedere altri macellare il suo lavoro.
America Ferrara, la protagonista della serie tv Ugly Betty, solidarizza con i manifestantiNew Hollywood Negli anni '60 e '70 emergono i cineasti provenienti dalle scuole di cinema, gli «auteurs», concetto importato dalla nouvelle vagues europee: Coppola, Milius, Lucas, Spielberg, Scorsese e tanti altri seguono la strada di Wilder. Ma l'epoca degli sceneggiatori-registi è una stagione effimera e il concetto autoriale del cinema rimane un'anomalia temporanea, aliena alla cultura del prodotto industriale hollywoodiano. Negli anni '80 la nuova generazione di imprenditori (i Diller, Eisner e Katzemberg) opera la restaurazione. Lo studio system torna a gestire egemonicamente la forza lavoro creativa, ora più atomizzata, in gran parte freelance ma costretta a sottostare al modello finanziario delle major che sono sempre di più divisioni specializzate di conglomerati dello spettacolo verticalmente integrati, dagli interessi sempre più diversificati.
La capitolazione del 1988 L'ultima grande battaglia degli scrittori risale al 1988, in coincidenza con l'emergere dell'homevideo, le vhs che rivoluzioneranno l'industria quanto l'aveva fatto la tv. Lo sciopero indetto allora dalla Wga verteva per l'appunto sull'applicazione dei diritti d'autore ai proventi del video e dvd, un mercato emergente, sperimentale, secondo gli studios, troppo immaturo per poterne stimare i guadagni. Dopo 5 mesi di sciopero gli scrittori firmano un contratto capestro, accettando per un triennio, la formula «temporanea» proposta dagli studios: uno sceneggiatore sarà pagato 4 cent di dollaro su ogni videocassetta venduta. La percentuale che doveva essere preliminare non è stata mai più modificata anche se 20 anni dopo le stime sui fatturati homevideo raggiungono i $235 miliardi complessivi. «Stimiamo che in 20 anni quel contratto ci sia costato collettivamente $1,5 miliardi in diritti non pagati – afferma oggi Patrick Verrone, presidente della Wga, da un picchetto ai cancelli della Paramount – non vogliamo ripetere lo stesso errore adesso che lottiamo per un equa retribuzione sui new media».
L'autore e Internet
L'attuale sciopero verte precisamente su un «settore sperimentale», la nuova frontiera del content è internet con tutti gli annessi, dagli Ipod ai videofonini e l'argomento degli studios è lo stesso di 20 anni fa: per internet non esiste un business model, nessuno sa chi, come o quanto potrà guadagnare dalla distribuzione di entertainment in rete, se prevarranno le vendite dirette di contenuti, il modello i-tunes, o quello YouYube dove è vincente la pubblicità venduta attorno a offerte libere. Ne, se è per questo, quale senso e valore può avere il concetto autoriale in questo contesto fluido o se anche questo dovrà per forza evolversi lungo linee del creative commons o modelli alternativi come quelli sperimentati con la musica on-line. I contratti, sostengono ancora gli studios, sono prematuri, le formule del passato vanno modificate: «è una manfrina che abbiamo già sentito – ribatte Verrone – i conglomerati col video si sono arricchiti e stanno per farlo ancora col digitale, abbiamo imparato la lezione».
Dietro questa reticenza si gioca un partita importante, cruciale per il capitale del content impegnato a assicurarsi un futuro lucroso sulle piattaforme emergenti, evitando soprattutto i disastrosi errori commessi dai cugini discografici. Gli studios sono divisioni in mano a giganti globali come Time Warner, Viacom di Sumner Redstone (Paramount), News Corp. di Murdoch (Fox), imperi dell'infotainment, dediti all'ibridazione di intrattenimento, news, editoria, new media e videogame, cuore pulsante della società dello spettacolo, fabbriche di format, serial, miniserie e telefilm , la dieta sciropposa e ipercalorica che nutre la cultura globale. Internet che ha vissuto la sua stagione «sperimentale» come incubatore democratico di controcultura mediatica è il ghiotto portale attraverso cui accedere ai nuovi mercati globali giovanili, vedi la campagna acquisti di social network adolescenziali. My Space è di Murdoch (prezzo d'acquisto $580 milioni), Facebook con partecipazione Google e Microsoft, è valutato $15 miliardi, YouTube fattura $7,5 miliardi al mese; internet è la nuova frontiera della pubblicità, mirata e su misura come mai prima. Un'operazione delicata da gestire attentamente, possibilmente senza interferenza da parte della mano d'opera. Allo stesso tempo anche la creatività si confronta con le incognite di un terreno inesplorato dove lo sceneggiare deve adattarsi non solo all'universo virale di YouTube ma anche a quello polimorfo di Guitar Hero (e la videoludica, ibrido naturale di Hollywood e Silicon Valley, ha ampiamente superato il cinema per importanza economica).
Le conseguenze della vertenza sono infine squisitamente glocal: l'effetto a cascata sulla tv con la sospensione di ormai praticamente tutte le produzioni di serial, ha prodotto a Los Angeles, dove il settore cinetv è una locomotiva economica da $30 miliardi l'anno, 15.000 disoccupati fra macchinisti, attrezzisti, ispettori di produzione, elettricisti e maestranze varie ma anche registi, assistenti, addetti al catering. Poi c'è l'indotto allargato, dal noleggio di camerini ai servizi di limousine, un danno difficile da calcolare ma che lo stesso sindaco di Ellei, che da settimane esorta le parti a trovare un'accordo, dovrebbe raggiungere $1 miliardo entro la fine dall'anno. Ci sono poi le perdite di pubblicità da parte dei network e l'audiovisivo è naturalmente genere di consumo globale e voce importante sul bilancio dell'export senza contare che la globalizzazione delle produzioni assicura ricadute negative su molteplici economie; fra i film posticipati o sospesi per lo sciopero molti avevano l'Europa come set, Demoni e Dei, sequel del Codice Da Vinci o Nine, il musical «felliniano» (ispirato a 8 e 1/2) in programma per Cinecittà.
Il temporaneo black-out di entertainment potrebbe anche essere salutare, un detox inatteso per i nostri inconsci narcotizzati, capace di aprire spiragli su nuove forme e modelli. È lo scenario ottimista. In realtà l'ultimo sciopero degli sceneggiatori coincise con l'avvento dei reality che gli studios potevano produrre senza copioni, il miasma meta-tainemnt in cui siamo a mollo da un decennio fu conseguenza diretta delle dinamiche industriali di Hollywood. È ancora da capire cosa produrrà l'attuale vertenza e il riallineamento epocale che l'ha determinata, è cosa che tocca da vicino tutta la sfera della comunicazione, da chi, per esempio, cerca di reinventare un futuro per i giornali all'intera «nebulosa» cultura.

 

Gli altri personaggi del 2007 venuti fuori dal referendum redazionale…:

 

Tommy Lee Jones

Quentin Tarantino

Ulrich Mühe
Sean Penn 
Shia LaBoeuf
Dario Argento
Al Gore
Asia Argento

Robert Downey Jr 

Nanni Moretti
Steven Spielberg
Riccardo Scamarcio
Danny Boyle
John Wayne

Abdellatif Kechiche 

Alberto Grifi
Marco Muller
Angelo Orlando
Esteban Cambiasso
 
 
 

 



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