Buona accoglienza riservata dai giornalisti per il film Arbitrage (in Italia La Frode) diretto dall'esordiente Nicholas Jarecki e interpretato da Susan Sarandon, Laetitia Casta, Brit Marling e dal protagonista Richard Gere presente a Roma per la conferenza stampa. Un film che mischia generi (noir, legal thriller, melodramma) e si inserisce in una lunga tradizione di cinema americano di "denuncia".

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Questo è un personaggio insolito per te, come si colloca nella tua lunga carriera? Come l'hai approcciato?

Ho pensato che potesse essere un uomo italiano, ricco e potente, mi son chiesto: come avrei interpretato questo personaggio in Italia? A parte la battuta, devo dire che il personaggio è bellissimo e questo è un film scritto benissimo, a tratti sorprendente perché il regista e sceneggiatore è alla sua opera prima. Tutti questi personaggi che lui ha creato hanno una loro visione del mondo, parlano dal loro punto di vista sul mondo. Il mio è un personaggio universale, una sorta di maschio Alfa.

E come si concilia questo personaggio con la sua filosofia personale?

Questa domanda mi viene fatta spesso, ma mettersi in gioco è la prima cosa, il vero significato del mio mestiere. Questo personaggio fa cose che molti farebbero nelle stesse circostanze, non è uno psicopatico o sociopatico, fa solo tragici errori e il mio lavoro è rendere questi errori umani. Rappresentare un personaggio in maniera onesta è mettersi davanti a uno specchio e vedere se stessi.

C'è una magnifica alchimia con Susan Sarandon, siete amici da tanto vero?

La cosa buffa è che quando abbiamo mostrato per la prima volta questo film eravamo io aspettavo che fosse lei a dire la durata della nostra conoscenza, lei dice 35 anni in realtà forse sono 40. C’è stato un periodo della mia vita in cui eravamo divisi solo da una parete e non vi dico cosa succedeva nel mezzo. Comunque, è difficile per due attori riuscire a conservare questa intesa per così tanto tempo, noi ci capiamo benissimo su tutto ma litighiamo su tutto, come una coppia sposata.

Vedendo il film si potrebbe dire come dice Balzac: dietro un grande patrimonio c’è sempre un crimine?

Devo dire che abbiamo discusso parecchio sul senso del finale del film. A prescindere da quello che pensiamo noi è lo spettatore e la sua coscienza che deve trovare una risposta. A noi tocca illuminare qualche zona grigia. Credo che il momento in cui si arriva più vicini all’improvvisazione è la scena nel parco tra me e mia figlia, lo sfogo che mi porta a dire “tu non sei mia socia, ma lavori per me, tutti lavorano per me!”, questo impulso che viene da dentro è la fonte dei problemi dell’oggi. La tentazione di potere e l’accentramento di potere, smodato impulso a volere gli altri al proprio servizio che è uno dei problemi più urgenti oggi.

Per questo film sei candidato al Golden Globe, ti aspettavi anche la candidatura all’Oscar?

Ma no. La cosa che mi ha sorpreso è che l’ottima sceneggiatura, veramente fantastica, non sia stata candidata, ecco quello mi ha sorpreso. La maestria di Nick nel giocare con molti generi, noir, legal trhiller, storia familiare. E c'è sempre una costante: l’orologio, che segna continuamente l’ora e la tensione per le continue cose da fare. Il mio personaggio è come uno squalo che non riesce a fermare il suo moto e si trova immerso nella città di New York, che non è America, New York è solo New York, una sorta di piccola metafora dell’intero mondo.

Nel mondo dell’alta finanza crede ci sia onestà intellettuale? Il suo personaggio si trova contro la sua famiglia, non la legge.

La cosa interessante è che non soltanto nel mondo della finanza, ma in ogni grumo di potere, in qualsiasi contesto, a livelli alti entri come in un club. Un club di semidei, quasi intoccabili. Il problema del mio personaggio è la verità non certo la legge che fatica a toccarlo. Dal  punto di vista familiare lui perde moltissimo ma niente è mai definitivo in fondo. Un esempio è Bill Clinton che ha fatto cose meravigliose e errori molto stupidi, a distanza di anni è un uomo che ha riconquistato l’affetto della sua famiglia. L’obbiettivo della vita non è mai uno, ma è un bersaglio in continuo movimento.

Tu sei un intoccabile nel mondo del cinema? Sei nel club di cui parli? Una curiosità: farai mai il regista?

Interessante domanda, in un certo senso si, continuo a esserci nel cinema e non sono andato via dopo tutti questi anni. Ma il mondo del cinema è cambiato moltissimo negli ultimi anni, e questo vi assicuro che è un film indipendente fatto in soli 31 giorni, con pochi soldi. Per la regia: sto sviluppando una serie di progetti che vorrei fare, chi lo sa, anche come regista forse. Ma non provo un forte impulso alla regia, altrimenti forse l’avrei già fatto. Mi interessa esplorare la mente umana e i suoi tanti lati, un continuo monitoraggio che è un impegno a tempo pieno. In più mio figlio è appena tredicenne, voglio passare con lui molto tempo, il "tempo di qualità", e poi ovviamente parte delle mie energie vanno alla causa tibetana che è sempre urgente e abbisogna di molta attenzioni.

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