La giusta misura della passione. Sentieri Selvaggi intervista Leyla Bouzid

In occasione dell’uscita in sala il 25 marzo del suo secondo lungometraggio, Una storia d’amore e di desiderio, ecco la nostra intervista esclusiva con la regista tunisina

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Arriva in sala a partire dal 25 marzo Una storia d’amore e di desiderio, secondo lungometraggio della regista tunisina Leyla Bouzid presentato fuori concorso allo scorso Festival di Cannes. Come per la sua prima opera, Appena apro gli occhi – Canto di libertà, la crescita dei suoi giovani protagonisti comporta un confronto con la loro cultura. In questo caso, Ahmed riscopre le sue lontane origini arabe come forse nemmeno i suoi genitori algerini la conoscevano, ossia attraverso un corso di letteratura araba erotica alla Sorbona. Lì, conosce anche Farah, una giovane tunisina in Francia per studiare e ben più aperta emotivamente del suo collega nato in Occidente.

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A interpretare i protagonisti di Una storia d’amore e di desiderio ci sono Sami Outalbali, presente anche nella seconda stagione di Sex Education, e Zbeida Belhajamor in una straordinaria prima volta davanti alla macchina da presa. Ecco la nostra chiacchierata esclusiva con la regista Leyla Bouzid.

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Nei suoi film c’è un forte senso di realismo, anche nei momenti più marcatamente finzionali. Cos’è per lei il realismo e come lo ricerca?

Più che cercare il realismo, cerco la misura giusta soprattutto nei dialoghi e nella recitazione. Sono molto attenta ai dettagli e cerco sempre di renderli verosimili. Ancora prima della messa in scena sono molto attenta al fatto che i personaggi che parlano e i dialoghi siano verosimili: ascolto sempre se una battuta suona in maniera strana anche in relazione all’estrazione sociale del personaggio. È un’attenzione che si riflette anche nella scelta degli attori, che forse è il lavoro più importante in questo senso: il personaggio di Ahmed doveva avere una fisicità quasi aggressiva, ma anche la sensualità propria del personaggio. Sami non è così nella vita reale, ma dopo il processo di casting e dopo averci parlato ho capito che era lui quello giusto. Per lui è stata la prima volta come protagonista, mentre per Zbeida Belhajamor era la prima volta in generale che recitava. Li ho fatti lavorare insieme, facendogli fare in compagnia quegli esercizi che normalmente gli attori fanno in solitudine. Lo scopo era quello di creare una chimica tra di loro. Conta molto il modo di recitare degli attori, che le emozioni siano della misura giusta. Però ci sono anche degli aspetti estetici e artistici su cui faccio molta attenzione, come per esempio i colori o i costumi, su cui mi concentro già in fase di scrittura.

Entrambi i suoi film, Appena apro gli occhi – Canto di libertà e Una storia d’amore e di desiderio, sono storie di formazione, dei coming-of-age non solo per i personaggi giovani, ma anche per i genitori. Come ha lavorato su quei personaggi?

È vero che entrambe sono storie di emancipazione, ma molto diverse. Appena apro gli occhi è molto drammatizzato, il rapporto madre-figlia è già precostituito e la struttura narrativa è piena d’azione, mentre Una storia d’amore e di desiderio è molto più interiore come film. Anche se non analizzo troppo ciò che scrivo, ma sono rimasta sorpresa anch’io di quanta importanza assumeva la relazione con il padre, anche per la risoluzione finale stessa del film. Non è la storia di un rapporto filiale e non so perché il padre abbia assunto un’importanza capitale, ma è andata così.

Realizzerà mai un film in cui i personaggi principali sono i genitori?

Anche in uno dei miei primi cortometraggi prima di Appena apro gli occhi (Mkhobbi Fi Kobba, ndr) c’è una relazione madre-figlia, ma lì non è la madre a essere il personaggio principale. Il mio prossimo film sarà un’altra storia su una relazione tra una madre e una figlia, ma in cui la seconda sarà la protagonista. Però posso pensare di avere come protagonisti entrambi i genitori o almeno uno dei due per la prossima storia.

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