La grande illusione, di Jean Renoir

Magnifico gioco d’equilibrio tra costruzione fantastica, lavoro sulla fantasia, l’illusione e struttura realistica della rappresentazione e della narrazione. Uno dei capolavori del regista. Su Chili

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«Capitano, non le piacciono le Illusioni?», «No, io sono realista». Battuta folgorante e centrale di uno dei film più famosi di Jean Renoir, La grande illusione, di nuovo sul grande schermo in edizione restaurata. Film famosissimo che, insieme a La regola del gioco (e prima ancora a quel bruciante film-frammento che è La scampagnata), costituisce una tappa di un percorso lungo la potenza del cinema secondo Renoir.

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Illusione e realismo. Apparentemente una chiara e semplice dicotomia, di fatto un rapporto complesso, necessario, speculare, cristallino forse (nel senso deleuziano del termine). Di fatto perché La grande illusione non è un film sulla Prima Guerra Mondiale, non è un film su una relazione di rispetto e quasi di amicizia tra due ufficiali che militano in fronti opposti. Come sempre, in Renoir, il cinema è una grande forma di mascheramento e svelamento al tempo stesso. Un’estetica del décalage, la chiamava Bazin, un gioco d’equilibrio tra costruzione fantastica, lavoro sulla fantasia, sull’illusione e struttura realistica della rappresentazione e della narrazione.

Nel film tutto è sottoposto ad una grande operazione di costruzione di realtà illusorie e desideri illusori, ma tutto, al tempo stesso, non viene mostrato per essere smascherato o condannato; al contrario, la “grande illusione” è fondamentalmente la vita stessa, la proiezione che ogni personaggio ha di sé e del proprio ruolo, dei propri compiti e dei propri gesti.

Come in La regola del gioco (che eleva tale dispositivo all’ennesima potenza), nel film i personaggi sono consegnati ad un movimento fluido e geometrico insieme, fatto di raddoppiamenti e rispecchiamenti, ma anche di improvvise derive – il lungo piano sequenza della preparazione della festa dei soldati, che culmina con il soldato vestito da donna per la recita, che diventa allora l’oggetto degli sguardi di tutti, quasi la rappresentazione illusoria del femminile, oggetto mancante di un desiderio – in uno spazio molteplice, sottratto alla prima linea, al combattimento, al sangue e alla morte. Geometrici sono anche i due personaggi-perno del film, il francese De Boeldieu e il tedesco von Rauffenstein, che condividono la stessa assenza di movimento, la stessa immobilità, mentre intorno a loro il mondo cambia tragicamente, anche se fuori campo. Essi si riconoscono l’uno lo specchio dell’altro, due lati di un cristallo illusorio e fragile, come è illusorio e fragile il piccolo fiore che von Rauffenstein cura maniacalmente, all’interno delle grigie mura della prigione di cui è il direttore. Corpi che esprimono la loro suprema illusione, quella di mantenere un mondo che non esiste più, di cui loro stessi sono gli ultimi rappresentanti.

Anche per questo, La grande illusione è una articolata fenomenologia del falso, di un falso però necessario, vitale, legato di fatto alla vita stessa. Legato alla necessità, da parte di ognuno, di creare le proprie illusioni, siano esse destinate a cadere o a rimanere, a modificarsi e a trasformarsi. Una grande fenomenologia del falso che si rivela nel cinema stesso, proprio laddove, come non smetterà di ripetere Renoir, esso cerca di nascondere il suo lato fiabesco e fantastico, il suo essere artificio ed invenzione.

Titolo originale: La grand illusion
Regia: Jean Renoir
Interpreti: Jean Gabin, Pierre Fresnay, Eric von Stroheim, Dita Parlo
Distribuzione: Cineteca di Bologna in collaborazione con Circuito Cinema
Durata: 94′
Origine: Francia 1937
Genere: guerra
La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
5

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
4.33 (3 voti)
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