La linea d’ombra in TV: “Dawson’s Creek”.

Dalla “zona oscura” dell’adolescenza a quella dell’età ‘adulta’, in una sottile e pregnante atmosfera di bucolica malinconia, un “profilo” del serial televisivo che ha fatto breccia tra i teenager di tutto il mondo, nato sotto il segno del giovane sceneggiatore cinematografico Kevin Williamson ("Scream")

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LA SERIE, OVVERO IL ‘FIUME DELLA….
Traducibile approssimativamente come ‘I guai di Dawson’ o meglio ‘Il fiume di Dawson’ , questa serie molto particolare nata nel ‘97/’98 fortemente voluta dal giovane sceneggiatore Kevin Williamson e dal produttore Paul Stupin si occupa (sorniona e malinconica, grazie ad una agile e non manierata sceneggiatura), del passaggio dalla “zona oscura” dell’adolescenza a quella dell’età ‘adulta’ di Dawson e dei suoi amici quindicenni, che con lui condividono la giovinezza a Cape Side, piccola cittadina costiera del Massachussettes vicino Providence.

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Dawson (James Van der Beek) è un ragazzo amante dei classici cinematografici della ‘Hollywood d’oro’, amando più di tutti Steven Spielberg (adornando l’intera sua camera come un vero e proprio mausoleo spielberghiano), il suo sogno è quello di diventare regista, è ancora molto immaturo e con un’idea molto “cinematografica” e romantica dei rapporti di coppia e della vita in genere. Con una videocamera ‘amatoriale’ si cimenta insieme ai suoi amici ‘Joey’ e Pacey a dirigere un piccolo film dell’orrore, un rifacimento in chiave adolescenziale del ‘Mostro della laguna nera’ …

Joey (Katie Holmes), ovvero diminutivo mascolino di Josephine, è amica di Dawson fin dall’infanzia, cresciuti quasi come fratelli, forse anche per la morte della madre di lei in tenera età, dell’assenza del padre, e della sorella maggiore che sopravvive in una casa in fondo al fiume con un uomo di colore con cui convive, diventa parte integrante della famiglia del protagonista eponimo della serie, avendo anche libero accesso alla sua camera da una “comoda” scala sul cortile. Molto più matura per la sua età, derisa a scuola, sviluppa un carattere da ‘maschiaccio’ per difendersi, conservando però un fascino tutto particolare, è inoltre amante del cinema ‘moderno’.

Pacey (Joshua Jackson), migliore amico di Dawson, estroverso e caustico si è fatto non una bella reputazione a Cape Side ed a scuola, dove racconta nei minimi dettagli le sue conquiste sessuali pressoché inesistenti, molto più profondo e sensibile di quello che si possa credere vedendolo a prima vista, Pacey viene disprezzato dalla famiglia (padre e fratello maggiore) che lo marchia come perdente, instaurando in lui un’indomabile voglia di ribellione e libertà. “Non ci sa fare con le ragazze” dalla sua stessa ammissione nell’illuminante episodio ‘Convivenza forzata’, mentre la sua frase preferita è “Alcune volte è giusto fare cose sbagliate”, forse simbolo questo di un’intera generazione.

Al ben assortito trio si aggiunge poi l’estranea di New York che fa perdere la testa al baldo Dawson: Jennifer (Michelle Williams), ragazza tipica americana, biondina, abbastanza in carne, con i suoi ricordi e problemi che si porta dalla grande città da cui è stata scacciata dai genitori dopo essere stata sorpresa a letto con un giovine, ormai non più vergine, cerca di ambientarsi nella pellicola e puritana Cape Side, facendo subito amicizia con i tre e partecipando più che volentieri al film horror di Dawson; si forma così un gruppo a cui si aggiungeranno con il passare degli episodi e delle stagioni nuovi compagni di viaggio (Andie e Jack McPhee interpretati rispettivamente da Meredith Monroe e Kerr Smith per citarne solo alcuni) a cui capiteranno un bel po’ di avventure, tutti insieme verso la “maturità”.

LA VITA E’ UN MUTAMENTO…
‘Passaggio dall’adolescenza all’età matura’, questo sembra essere il filo portante delle avventure di Dawson e compagni, dall’oscurità delle insicure

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zze, delle frustrazioni, degli ormoni e degli amori, la serie ci parla delicatamente e ci suggerisce del futuro distacco che purtroppo ogni buona amicizia deve subire…
“La vita è un mutamento… persone che amavi e in cui confidavi in un momento possono scomparire…” dice una consapevole Joey a Dawson proprio l’episodio prima del suo possibile allontanamento forzato da Cape Side; la serie proprio al compimento della maturità di Dawson prende una piega inaspettata ma naturale (propria come la vita), dovendo dividere, o meglio cambiare certe amicizie, non serve fingere che sia tutto come era prima, come nell’infanzia (la terra che non c’è, la ’Neverland’, come l’omonimo episodio della terza stagione), anche se in una scena dolcissima della prima stagione Dawson e Joey riproveranno, proprio come solo alcuni anni prima, a rinchiudersi nell’armadietto della camera dell’aspirante regista ‘interpretando’ il cult movie di Spielberg ‘Lo Squalo’, recitando per filo e per segno ogni battuta, facendo finta che il tempo per un attimo non sia mai passato; ma la serie, con questa ventata di malinconia ci dice esattamente il contrario.

Un’analisi così approfondita e nello stesso tempo partecipe e leggera di quella zona oscura della giovinezza ha in parte un epigono e un cantore: lo Stephen King de ‘Il Corpo’ (poi trasposto in un bellissimo film di Bob Reiner ‘Stand by me’) e di molti altri romanzi tra cui il generazionale ‘IT’ peraltro richiamati nel serial a volte con incisive comparsate dei rispettivi poster, a volte direttamente con vere e proprie scene tratte dai film corrispondenti.
Questo paragone che può apparire azzardato, guardando la serie non ci appare più tale, non dimentichiamo che oltre alla scelta dei luoghi e delle location (il sole e la vegetazione del Massacchuttes, così vicine al Maine, non sono quelli della rassicurante California, scelta quasi abituale per questo tipo di produzioni), i ragazzi vivono la stagione della loro vita in una piccola cittadina ‘autunnale’, incontrando il desiderio di fuggire e di farsi una vera vita, ed in questo senso sono comprensibilissime le confidenze che Joey fa a Pacey (i due personaggi più simili, in fondo sono le due facce della stessa medaglia) nel frizzante episodio della prima serie ‘Esperimenti d’amore’: “Io devo riuscire ad andarmene di qui, o la mia vita sarà rovinata”, “Tu riuscirai ad andartene di qui… non scommetterei mai contro di te Joey…” le risponderà un dolce inedito e triste Pacey conscio invece delle sue possibilità e del suo probabile destino.

Per Cape Side inoltre non ci sono solo malinconia, amori adolescenziali, e spaventi (nell’episodio ‘Venerdì 13’ vero e proprio “divertissment” di tutta la troupe e rifacimento del genere ‘slasher’), ma anche una magica ventata di puro cinema, la serie può vantare un grandissimo numero di citazioni alla storia del cinema, tutte perfettamente incastonate nel tessuto della storia e mai fine a se stesse, la regia è molto cinematografica nei sapienti movimenti di camera e nell’accorto uso dello spazio scenico, nella scelta delle angolazioni e delle inquadrature molto curate e profondamente significanti, aventi una sceneggiatura attenta al “divenire” ed alla “crescita” dei personaggi abbastanza complessi soprattutto con il passare degli episodi (tra l’altro TUTTI collegati, nessuno escluso, nessun tappabuchi, cosa molto rara e pericolosa per un prodotto seriale).

L’interpretazione degli attori, è meno manierata di altre serie simili, riuscendo quasi naturale, grazie anche ai dialoghi molto giovanili ed attenti allo ‘slang’, inoltre la scelta delle musiche e delle canzoni che accompagnano gli avvenimenti sono scelti in maniera molto mirata, funzionale alla storia, creando una sottile e pregnante atmosfera di bucolica malinconia; soprattutto per quanto riguarda la prima serie, questo telefilm risponde più a gusti preminentemente cinematografici che di pura e semplice cassetta (ogni episodio ha necessitato di sette giorni di ripresa, cosa molto dispendiosa e rara per un prodotto televisivo).
Questo serial va ad inserirsi come genere, vicino ad opere che non gli sono affatto congeniali, come lo sciatto e manierato piattume di ‘Beverly Hills 90210’ o di ‘Melrose Place’, ma la sua intima essenza è ben altra, segue più le foglie dell’autunno del Maine (la serie inizia alla fine dell’estate) di kinghiana memoria.
“Non ho più avuto gli amici che avevo a quindici anni”, con questa frase si potrebbe riassumere non certo esaustivamente l’intera serie, ma in qualunque maniera la si metta, questo prodotto bizzarro e a suo modo nuovo segue quel ‘fiume di Dawson’ che in fondo altri non è che la “crescita”.

DAWSON FUORI CAPE SIDE: IL SUO SUCCESSO.
La serie nasce nell’annata 97/98 quasi per caso, in realtà per la coraggiosa scommessa e l’interessamento di un produttore piuttosto illuminato e particolare: Paul Stupin, infatti il telefilm vede la luce nel tubo catodico come ‘mid-season replacement’, termine non troppo lusinghiero per definire serie che sostituiscono all’ultimo momento altri prodotti che non riescono a reggere gli ascolti e per questo sostituiti in fretta e furia, in quell’annata alla Paramount servivano 13 settimane da completare, Kevin Williamson ,in quegli anni giovane sceneggiatore sulla cresta del successo, ha l’occasione sognata di realizzare la “sua” serie televisiva insieme ad un gruppo di agguerriti e bravi sceneggiatori ed uno staff produttivo molto motivato con la voglia di realizzare qualcosa di diverso, riuscendo in tempi da record a consegnare al network una effettivamente strana ed “inquietante” serie.

Solo un paio di mesi dopo, sul finire dei tredici episodi, i critici televisivi giudicano la breve serie come la “più brillante dell’intera annata”, vuoi per il modo strano e diretto di parlare alle nuove generazioni, vuoi per i temi ‘caldi’ incontrati di striscio e trattati con frizzante serietà, come l’omosessualità, la masturbazione, la separazione dei propri genitori, il tutto in una cittadina di provincia come tante altre, le critiche che piovvero furono tutte più che positive, insieme ad un crescente gradimento del pubblico, soprattutto giovanile, ma molto eterogeneo composto anche da universitari, professori, e uomini adulti.
In Italia il serial, vuoi per la potenza di internet, vuoi per la bellezza con cui il sito della serie americano è stato fatto, arriva ai giovani della penisola quasi in contemporanea con la messa in onda statunitense, infatti era possibile vedersi gli episodi sotto formato video sul pc di casa propria, così quasi tutti i ‘futuri’ fans del serial sapevano della sua esistenza ben prima della sua effettiva messa in onda italiana.

Nel gennaio del 1999, la pay tv italiana Telepiù, si accorge delle potenzialità del prodotto e decide di mandare in onda le prime due serie in esclusiva, con un adattamento e un doppiaggio veramente “cinematografici” curati dall’emittente stessa in modo eccelso e competente, specchio di una cura del prodotto riconosciuto molto particolare e pieno di citazioni cinematografiche colte anche nell’acuto adattamento, il tutto ha un lusinghiero successo, tanto da convincere la Mediaset ad acquistarla e trasmetterla un anno dopo sulla rete Italia 1,(dalla terza serie in poi l’adattamento è curato dalla stessa rete, con meno verve ed impegno di telepiù) la serie però pur essendo subito identificata come ‘cult’ e pur avendo uno zoccolo duro di appassionati appetibili per gli sponsor, non riesce a tenersi quel grandissimo pubblico che una rete generalista nazionale esige da un programma di prima serata, e viene poi relegata al pomeriggio con un buon consenso di ascolti, questa volta più che soddisfacenti.

ATTRAVERSANDO IL FIUME DI DAWSON: KEVIN WILLIAMSON.
Nato nel North Carolina, patria di piccole e pittoresche cittadine di mare, il giovane sceneggiatore cinematografico Kevin Williamson già dall’adolescenza comincia

 ad innamorarsi del cinema, soprattutto di quello di Steven Spielberg, ed a questa passione si deve il suo primo film amatoriale filmato con una vecchia 8 mm: ‘Bianco come un fantasma’.
La serie che gli deve i natali, è per stessa ammissione di Kevin profondamente autobiografica, addirittura il titolo del serial è ‘mutuato’ dall’omonimo ruscello ‘Dawson’s Creek’ che scorre placido ad otto chilometri dal luogo dove lo sceneggiatore è cresciuto ed ha passato la sua adolescenza.

Dawson’s Creek per Kevin è un perfetto mix tra i suoi ricordi di ragazzo (e degli altri sceneggiatori) ed il modo di raccontare a cui ha cercato sempre di arrivare: cioè un cocktail perfetto della fantasia hollywoodiana e la vita vera, ed in effetti proprio questa caratteristica permea l’intera produzione dello scrittore, cioè del rapporto essenzialmente imitativo che la vita ha dell’arte ed il suo contrario, solo nel serial si possono contare innumerevoli “parafrasi” come l’episodio pilota (in cui si possono contare 46 citazioni cinematografiche di cui solo 16 tratte da film di Spielberg) , vero e proprio rifacimento in chiave adolescenziale del ‘Mostro della laguna nera’ di Jack Arnold, oppure ad altri film sparsi come ‘Breakfast Club’ di John Hughes o ‘American Graffiti’ di George Lucas e moltissimi altri.

Talentaccio della nuova generazione, ha il suo riconoscimento con l’eccezionale script di ‘Scream’ poi diretto da Wes Craven, non riscrivendo nessuna regola del genere suo prediletto (l’horror adolescenziale, lo ‘slashes movie’ dal verbo slashe = squarciare, basti vedere il capostipite ‘Halloween’ di John Carpenter) ma mettendole in mostra, addentrandosi nella loro logica e facendole divenire metatestuali e referenti ad un intero ‘sottogenere’ che sia fantascienza o horror o commedia adolescenziale; oltre che a conoscere le fobie piccole/grandi ed i problemi della generazione di cui e A CUI parla.

Filmografia
SCREAM, SCREAM2 (1996) (1997) di Wes Craven (soggetto e sceneggiatura).
DAWSON’S CREEK (1997/98) –TV- Ideazione serie e scrittura di alcuni episodi tra cui il ‘Pilot’.
SO COSA HAI FATTO LA SCORSA ESTATE (1997) di Jim Gillespie (soggetto e sceneggiatura).
THE FACULTY (1998) di Robert Rodriguez (soggetto e sceneggiatura).
KILLING MRS TINGLE (1999) (regia soggetto e sceneggiatura).

DAWSON’S CREEK.
Durata: Quattro stagioni da episodi di 45’
Anni 97/98/99/00.
Creatore e Produttori esecutivi: Kevin Williamson (per le prime due stagioni) e Paul Stupin.
Scrittori : Kevin Williamson (1° Episodio ed altri sparsi per le due serie), Greg Prange, Mike White, Dana Baratta, Jon Harmon Feldman, Shelley Meals & Darin Goldberg e altri.
Registi: Steve Miner (1° Episodio), Roman Flender, Arvin Brown, David Semel e altri.
Musiche: (Composizione Musiche e orchestrazione): Adam Fields (1° e 4°serie, sigla finale), Danny Lux (2° e 3°Serie, sigla finale); (Scrittura testi e interpretazione): Jann Arden (1°Serie, sigla iniziale), Paula Cole (2° 3° e 4° Serie, sigla iniziale)

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