"La locanda della felicità" di Zhang Yimou

Dopo “Non uno di meno” e “La strada verso casa”, Zhang Yimou torna a raccontarci una storia di adolescenza negata. A fare da sfondo, una Cina metropolitana su cui il regista si sofferma di rado, segno di un modo di fare cinema ancora conservatore e accademico

--------------------------------------------------------------
CORSO DI SCENEGGIATURA ONLINE DAL 6 MAGGIO

--------------------------------------------------------------

Un altro ritratto femminile. Un'altra dolorosa storia di adolescenza negata. Dopo Non uno di meno e La strada verso casa, lo sguardo di Zhang Yimou continua a posarsi su universi  di giovane donne, che riesce a cogliere nell'incanto di un delicato equilibrio, tra ingenuità e sensualità. A fare da sfondo, però, non c'è la Cina contadina dei precedenti lungometraggi bensì una realtà metropolitana su cui il regista si sofferma velocemente, quasi a significare una precisa volontà (o incapacità?) di non volere (o sapere?) raccontare la sua Pechino, quella attuale, di tutti i giorni in cui abitano le contraddizioni nate da un inesorabile processo di occidentalizzazione, quella contemporanea, ancora poco filmata, alla continua ricerca di una propria identità. Un cinema tradizionale, quello di Yimou, conservatore e accademico, nonostante il tentativo di apertura, stilistico e formale, inaugurato e presto concluso con Keep Cool. Ciò che stupisce, però, de La locanda della felicità è la sensazione di una sottile conversione da parte del regista che lascia presagire l'inizio di una nuova fase. Abbandonati i toni fondamentalisti di uno pseudo realismo teso alla blanda denuncia di uno status economico e culturale contrassegnato dall'arretratezza (blando, perché, in fondo, la morale difendeva sempre e comunque la tradizione), il nuovo film di Yimou si arricchisce di una freschezza poetica disarmante, che vede nell'incontro tra un pensionato e una giovane cieca la risoluzione di un conflitto generazionale a cui il regista non aveva ancora trovato risposta. In questo abbraccio,  fatto di pause silenziose, di gesti goffi e sgraziati, di "giochi di prestigio" generosi e pieni d'immaginazione, si avverte infatti persino l'eco dello sguardo di Takeshi Kitano, quello per intenderci de L'estate di Kikujiro, dove uomo e bambino camminavano mano nella mano, tra l'impaccio e la complicità di un'affettività pronta ad esplodere. A La locanda della felicità mancano però tre elementi fondamentali: la ricerca linguistica, la comicità surreale e quella vena malinconica, tipica del maestro giapponese, che lascia intravedere nel fuori campo, la presenza di una morte e di un dolore tragicamente incombenti. Il film di Zhang Yimou non è in grado di compiere questo volo e, nonostante le gag e le invenzioni del suo protagonista maschile, la fiaba cinese non neppure è scevra da una certa retorica dei sentimenti che trova il suo culmine nella scena conclusiva. Un'occasione persa, che però lascia sperare in qualcosa di meglio…

--------------------------------------------------------------
#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

--------------------------------------------------------------

 


Regia: Zhang Yimou
Sceneggiatura: Gai Zi
Fotografia: Hou Yong
Montaggio: Zhai Ru
Musica:   San Bao
Scenografia:  Cao Jiuping
Costumi: Tong Huarniao
Interpreti: Zhao Benshan (Zhao), Dong Jie (Wu Ying), Dong Lihua (matrigna), Fu Biao (Fu piccolo), Li Xuejian (Li), Leng Qibin (fratellastro), Niu Ben (Niu vecchio), Gong Jinghua (Zia Liu), Zhang Hongjie (Lao Zhang), Zhao Bingkun (Lao Bai)
Produzione: Sunflower Productions
Distribuzione: 20th Century Fox


Durata: 106' 
Origine: Cina, 2002


 

--------------------------------------------------------------
CORSO ONLINE SCRIVERE E PRESENTARE UN DOCUMENTARIO, DAL 22 APRILE

--------------------------------------------------------------

    ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SENTIERI SELVAGGI

    Le news, le recensioni, i corsi di cinema, la riviste, i libri, gli eventi e tutte le nostre iniziative


    Array